Dino Messina / A quasi ottant’anni dalla sua morte la
figura di Antonio Gramsci è oggetto di un importante studio intorno a una parte
della sua vita ancora per diversi aspetti da scoprire e ricostruire, ossia
quella successiva al suo arresto dell’8 novembre 1926, della detenzione nelle
carceri dell’Italia fascista con la breve parentesi del confino a Ustica, fino
agli ultimi anni prima della morte, trascorsi a partire dal 1933, a causa
dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute e non da uomo libero, prima
nell’infermeria del carcere di Civitavecchia, poi nella clinica del dottor
Cusumano a Formia e infine nella clinica “Quisisana” di Roma.
La vicenda stessa dell’arresto, da considerare nel contesto della promulgazione
delle leggi fascistissime e degli effetti del fallito attentato a Mussolini di
Anteo Zamboni del 31 ottobre a Bologna, meriterebbe di per sé degli
approfondimenti, se non altro per capire se e cosa si sia fatto per chiedere –
o forse pretendere – un immediato rilascio di Gramsci alla luce della violazione
della sua immunità parlamentare, sancita dall’articolo 45 dello Statuto
Albertino; infatti in data 8 novembre 1926 essa è per il Segretario del Partito
Comunista d’Italia ancora in vigore, poiché solamente il giorno dopo, secondo
l’articolo 62 del Regolamento parlamentare, sarà votata e approvata dalla
Camera dei Deputati a scrutinio segreto e con maggioranza dei tre quarti quella
conosciuta come Mozione Augusto Turati, «portata di urgenza alla seduta».