► Le tesi di Gramsci per un comunismo da
raggiungere con vie pacifiche sono ancora attuali? Le motivazioni possono
essere valide per un rilancio di un movimento di lotta contro la svendita dello
stato?

Com’è noto i Quaderni
del carcere sono appunti che Gramsci ha scritto a partire
dal febbraio del 1929 fino al 1935 durante la sua prigionia
nelle carceri fasciste. Vennero pubblicati in una prima edizione tra
il 1948 e il 1951 con un ordine tematico ottenendo un grande
impatto nel mondo della politica, della cultura, della filosofia e
delle altre scienze sociali dell'Italia del dopoguerra. Nel
1975, curata da Valentino Gerratana, è stata pubblicata una edizione critica
con un'accurata ricostruzione cronologica. Certo in carcere le condizioni non
erano tali per approfondire i vari temi ma l’impianto è chiaro: in Italia si
voleva raggiungere il comunismo con metodi democratici senza operare scontri
armati come nel 1917 in Russia.
Il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo
Renzi, ha cambiato la legge elettorale togliendo al popolo italiano la
possibilità di eleggere il parlamento in maniera rappresentativa. Si parla di
proporzionale ma nei 100 collegi chi supera il 40% è maggioranza con 340
deputati e governa, se non si supera si va al ballottaggio e vince chi ha più
voti. Solo 290 deputati saranno per l’opposizione i quali saranno leggeri e
avranno un ruolo più o meno di opinionisti anche se siederanno in parlamento.
Le classi più deboli per i giochi della politica saranno condannate ancora a
non aver peso nelle istituzioni e anche se dovessero eleggere deputati, questi
non potranno fare quasi nulla sulle leggi che il governo presenterà e neanche
sulle stesse decisioni dell’Unione europea che già pesano come un macigno
sull’Italia.
L’obiettivo dell’Ue in prospettiva è quello di rendere gli
stati leggeri e senza sovranità di decisioni a tutti i livelli. Gli stati
dovranno diventare più o meno entità regionali senza autonomia. Siamo in piena
dittatura finanziaria. Perché? Con il MES, Meccanismo Europeo di
Stabilità, che è regolato dalla legislazione internazionale con sede a
Lussemburgo si faranno prestiti per assicurare assistenza finanziaria ai paesi
in difficoltà. Consentirà di acquistare titoli sul mercato primario anche con
il programma Outright Monetary Transaction con condizioni molto severe.
Imporrà programmi di riforme con privatizzazioni e operazioni sanzionatorie per
gli stati che non dovessero rispettare le scadenze di restituzione. Con
il Fiscal Compact, pareggio di bilancio, che oggi è nella nostra
costituzione con una modifica all’articolo 81 (aprile del 2012) da
quest’anno le nuove regole europee ribadiscono il limite del deficit al 3% del
Pil ma aggiungono un nuovo parametro che è il deficit strutturale.
In pratica ci sarà solo un indebitamento netto epurando gli
effetti del ciclo economico e non deve superare lo 0,5% del Pil e l’1% per i
paesi più virtuosi. Se il debito in eccesso non diminuisce scattano le
sanzioni anche se in bilancio si avesse un deficit “a norma” e cioè entro
il 3% del Pil. L’avvio di tale procedura viene però decisa tenendo conto dei
fattori che influenzano il ciclo economico e valutando tre parametri:
deviazione dal Pil potenziale, riduzione rispetto ai tre anni precedenti,
prospettive per i tre anni successivi. Soltanto se si è fuori dai parametri da
tutti e tre i punti di vista - purtroppo cosa ordinaria - scattano le sanzioni
che devono comunque essere votate dal Consiglio europeo e precedute
da una serie di avvertimenti. Per i paesi con un rapporto tra debito e PIL
superiore al 60% vi è l’obbligo di ridurre tale rapporto di almeno 1/20esimo
all’anno per raggiungere quel valore considerato “sano” del 60% secondo il
trattato di Maastricht e che non si è mai compreso perché deve essere così.
In Italia il debito pubblico è di 2134,920 miliardi di euro,
intorno al 132,1% del PIL. Per i paesi che sono appena rientrati sotto la
soglia del 3% nel rapporto tra deficit e PIL, come l’Italia, i controlli su
questo vincolo inizieranno nel 2016. Con l’ERF, European Redemption Fund, Fondo
Europeo di Redenzione (o Riscatto) che è stato già approvato dal Parlamento
europeo farebbe confluire l’importo dei vari debiti pubblici degli Stati
dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del Pil in tale fondo che
verrebbe garantito dagli Stati nazionali membri attraverso i loro asset
pubblici e da almeno una percentuale di tasse riscosse a livello
nazionale. Tale fondo, poi, emetterebbe bonds europei caratterizzati da una
rigorosa scadenza di 20, massimo 25 anni.
In questo lasso di tempo, tutti gli Stati aderenti hanno
l’obbligo di assettare il proprio rapporto debito/PIL al 60%. Si tratta di un
fondo la cui esistenza è temporaneamente limitata e che comunque deve essere
completamente rimborsato dagli Stati membri alla fine della sua durata. Da
questa soluzione che non implicherebbe la riformulazione dei Trattati esistenti
o la scrittura di nuovi, ma che può essere concretizzata mediante semplici
intese i paesi come l’Italia dovrebbero ricevere il vantaggio di pagare
nel complesso interessi sul debito relativamente bassi, mentre paesi come la
Germania dovrebbero sopportare costi maggiori rispetto agli attuali per finanziare
interamente il relativo debito, almeno che non si facciano modifiche nei
prossimi anni. Come si vede oltre alla sovranità monetaria che con l’adozione
della moneta unica, euro, abbiamo già perso, stiamo cedendo in toto quella
dell’economica pubblica e quella politica.
In pratica saremo in austerity permanente. L’Unione europea
ora non è più una scelta ma una imposizione e cioè una dittatura finanziaria.
Se Gramsci prima del 1926 riteneva che per raggiungere il comunismo si dovesse
fare una rivoluzione come era stata fatta in Russia nel 1917, com’è noto, dopo
cambio radicalmente opinione perché il fascismo non consentiva più nessuna
agibilità di attività politica o comunque di contrasto come oggi con l’Ue anche
se possiamo ancora pensare di cambiare nonostante i cambiamenti negativi in
atto. Premesso che Gramsci era segretario del Partito Comunista d’Italia e
quindi conosceva bene le articolazioni della politica, l’Italia non era diretta
da una dittatura finanziaria a regia europea come lo è oggi.
L’Italia era solo un paese con una dittatura certo assoluta
ma che però non c’era nel 1921 quando si costituì il PcdI, dobbiamo perciò
considerare che il quadro politico di oggi è diverso ma presenta delle
analogie. La nuova situazione che si determinò dopo le elezioni del 1924 influì
sul pensiero di Gramsci e lo pose contro l’Internazionale comunista di Mosca
che riteneva di raggiungere il comunismo in modo violento. Oggi l’Ue vuole
delegittimare gli stati. Liberamente possiamo anche noi fare un cambio
d’opinione? Al di là degli obiettivi di Gramsci e in relazione ai tempi attuali
che sono diversi ma che in questi anni grazie alle operazioni realizzate
dall’Ue siamo continuamente sotto il gioco violento di una dittatura
finanziaria possiamo, diversamente da Gramsci che voleva realizzare in Italia
il comunismo, cambiare opinione e proporre una democrazia vera e non falsa come
quella dell’Ue per riprenderci la sovranità economica, monetaria e politica. I
lineamenti delle motivazioni di Gramsci hanno una forza ideale che ancora oggi
può essere investita per cambiare la nostra società. Cosa possiamo fare per
abbattere la dittatura finanziaria in atto? Chiaramente dobbiamo incominciare
ad essere autonomi da quei partiti che hanno scelto l’euro e l’Ue, e che di
recente hanno approvato l’Italicum e vogliono cambiare anche la Costituzione.