► Intervista alla saggista Noemi Ghetti: non solo
ateo e anticlericale, anche nel rapporto con le donne il padre della Sinistra
italiana è un'anomalia nella storia del Comunismo
Federico Tulli |
La crisi della politica e quella della Sinistra in particolare ha
stimolato negli ultimi anni la pubblicazione di numerosi libri su Antonio
Gramsci. Tra questi il saggio di Noemi Ghetti Gramsci nel cieco carcere
degli eretici (L'Asino d'oro edizioni, 2014) spicca per l'originalità
della chiave di interpretazione del corpus teorico gramsciano proposta al
lettore. L'autrice infatti riporta in luce la dimensione dell'insegnamento e
del pensiero gramsciano che lo stesso Partito comunista italiano per tutto il
secondo Novecento ha progressivamente teso ad insabbiare. La dimensione laica
della società, il rifiuto della cultura di matrice cattolica, lo sdegno per
l'ingerenza politica del Vaticano nelle cose italiane. Ecco allora la critica
serrata del fondatore de L'Unità all'intera filosofia di Benedetto
Croce, sviluppata nel Quaderno 10, e alla sua funzione di «papa laico»,
«strumento efficacissimo di egemonia» e «leader del revisionismo» presso
l'opinione pubblica italiana ed europea. E poi ancora l'analisi approfondita di
Gramsci sino alle radici della secolare egemonia cattolica e del potere
politico ed economico che questa religione ha esteso nel mondo a partire dal
cuore dell'Italia. Infine la questione dantesca. Studioso di linguistica,
scrive Ghetti in introduzione, Gramsci delinea uno schema per la storia degli
intellettuali italiani, in cui la «quistione della lingua» dalle origini duecentesche
si intreccia con la «quistione cattolica», e dal 1870 con la «quistione
vaticana».
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La prima pagina dei Quaderni del carcere |
Di qui ci ritroviamo in un vero e proprio intrigo storico
con la narrazione che assume il ritmo di un avvincente noir. Un intrigo che
ruota intorno alla figura di Palmiro Togliatti e che si dipana dal secondo
dopoguerra a oggi senza soluzione di continuità, le cui conseguenze sono di
estrema attualità essendosi materializzate nel fallimento della sinistra
italiana ben rappresentato dagli estimatori del gesuita papa Francesco. I quali
fingono (probabilmente) di non sapere del suo contraddittorio passato ai tempi
della dittatura fascista argentina, che sia un convinto assertore
dell'esistenza del diavolo, che consideri dei sub umani i bambini non
battezzati (per costui sarebbero diversi da quelli battezzati) e le donne (no
contraccezione, no aborto etc). Emerge quindi dalle pagine di Ghetti il
ritratto di un grande pensatore pienamente consapevole della realtà non solo
politica con cui si trovava a dover fare i conti. Un uomo coraggioso che,
"senza perdere la tenerezza" - direbbe il più noto biografo del Che, Paco Ignacio Taibo II - nel rapporto con le donne della sua
vita, condusse fino in fondo la propria battaglia di civiltà in opposizione al
clerico-fascismo. Di contro, dopo la sua morte (1937), si è sviluppata a
Sinistra una storia contorta (guerra partigiana a parte), segnata dai
compromessi fallimentari con una controparte totalmente asservita ai dettami
della Chiesa e intrisa della sua ideologia religiosa. Il catto-comunismo. Il
nuovo umanesimo auspicato da Gramsci dal carcere fascista che ne voleva
stroncare la vitalità ed il pensiero è stato così negato e annullato per anni
dall'idea perversa che l'uguaglianza e la libertà degli esseri umani potesse
essere perseguita sulla base di precetti religiosi e filosofici privi di
rapporto con la realtà umana. Precetti che - Bergoglio docet - riconducono a una
"condizione" di inferiorità (la disuguaglianza) chiunque li rifiuti.
– Noemi Ghetti, come è nata l'idea di questo libro?
Il mio nuovo lavoro è lo sviluppo del precedente libro L'ombra
di Cavalcanti e Dante, pubblicato nel 2011 da L'Asino d'oro edizioni, della cui attualità culturale e politica, a
dispetto del tema in apparenza solo letterario, rappresenta l'autorevole e
inattesa conferma. Solo per caso alcuni mesi dopo l'uscita del libro,
osservando una riproduzione del manoscritto della prima pagina dei Quaderni
del carcere, scoprii che Antonio Gramsci, prigioniero politico condannato a
oltre venti anni di carcere, al quinto posto dell'elenco dei sedici «argomenti
principali» che si riprometteva di svolgere durante la sua detenzione, aveva
scritto: «Cavalcante Cavalcanti: la sua posizione nella struttura e nell'arte
della Divina commedia». Era l'8 febbraio 1929: ottenute finalmente carta e
penna, nella cella di Turi il detenuto matricola 7047 progettava la sua «nota
dantesca» sul canto degli eretici proprio nei giorni in cui Mussolini si
apprestava a ratificare con i Patti lateranensi quella che Gramsci definisce
«la capitolazione» dello Stato italiano alla Chiesa.
Scritto a più riprese dal leader sardo nel drammatico
isolamento degli anni 1930-1932, l'ampio studio (Quaderno 4, 78-87)
ritornava sul Canto decimo dell'Inferno, già toccato nell'articolo del 1918 Il
cieco Tiresia dell'Avanti! E ne sviluppava, secondo un originale
metodo storico-critico «integrale», l'aspetto insieme culturale, privato e
politico, arricchendolo di contenuti allusivi alla propria vicenda all'interno
del Partito comunista.
Fui sorpresa di non avere mai scoperto l'esistenza della
«nota dantesca» durante le lunghe ricerche che avevano preceduto e accompagnato
la stesura del primo libro, e riconobbi subito che l'analisi gramsciana del
canto degli eretici risuonava nel giudizio espresso nel 1968 dal celebre
critico piemontese Gianfranco Contini nel saggio Cavalcanti in Dante. Un
giudizio controcorrente, unico nell'ambito della dantistica, che aveva appunto
ispirato il titolo del mio libro. A proposito della «inquietante» presenza
dell'ombra di Cavalcanti nella Commedia, Contini aveva ripreso quasi
alla lettera alcune espressioni della nota dei Quaderni. Senza peraltro
mai nominare Gramsci, che anche dopo il Sessantotto - come ha dichiarato
Giacomo Marramao qualche giorno fa nel corso della presentazione romana del
libro di Alberto Burgio Gramsci. Il sistema in movimento (DeriveApprodi,
2014) - continuava a restare poco frequentato dagli intellettuali. E pochissimo
studiato anche nelle scuole. Oscurata dal falso mito togliattiano della
continuità, la vera eredità di Gramsci continuava ad essere di fatto non
esistente, nonostante che nel 1975 fosse stata pubblicata da Einaudi l'edizione
critica dei Quaderni. Ma la cosa che mi sorprese ancora più fu che, nel
rinnovato dibattito italiano sulle tormentate vicissitudini dei Quaderni del
carcere e sulla diffusione dei contenuti della ricerca gramsciana, che negli
ultimi anni accompagnava la crisi della sinistra ispirando molte pubblicazioni,
restasse poco nota la rilevanza dell'ampia «nota dantesca».
Mi immersi nella ricerca, e scoprii che, oltre alle
importanti prese di distanza di Gramsci dal metodo critico di Benedetto Croce,
sotto il mortale scontro tra Cavalcanti e Dante che costituisce l'enigmatica
trama dei celebri versi, da Gramsci portato alla luce per la prima volta, era
riconoscibile l'analogia con il sanguinoso dissenso politico con Togliatti,
confermato dalle Lettere dal carcere. Caso unico attestato durante la
detenzione, grazie al triangolo epistolare che, attraverso Tatiana e Piero
Sraffa, da Turi passando per Cambridge arrivava a Mosca, Togliatti seguiva
attentamente e commentava la stesura della nota, proprio nel periodo in cui,
dopo la svolta totalitaria staliniana del 1929-1930 e la «canonizzazione» di
Gramsci al Congresso di Colonia del 1931, l'esistenza di Gramsci era stata
cancellata dalla scena pubblica comunista.
– Nel 1926 Gramsci scrisse una lettera a Mosca in difesa dei dissidenti, tra cui Trotskij. Tu ricordi che questa lettera fu intercettata da Togliatti e non arrivò mai al partito. Fu questa lettera a "condannare" Gramsci all'isolamento politico e quindi in qualche modo a facilitare l'arresto da parte dei fascisti?
Nella lettera al Comitato Centrale dell'ottobre 1926
Gramsci, allora segretario del PCdI, condannava il metodo violento usato da
Stalin per stroncare il dissenso interno, e concludeva esortando all'unità: «I
compagni Zinov'ev, Trotskij, Kamenev hanno contribuito potentemente a educarci
per la rivoluzione [...] sono stati i nostri maestri. A loro specialmente ci
rivolgiamo come ai maggiori responsabili dell'attuale situazione perché
vogliamo essere sicuri che la maggioranza del CC dell'URSS non intenda
stravincere nella lotta e sia disposta a evitare le misure eccessive [...]
l'unità e la disciplina in questo caso non possono essere meccaniche e coatte,
devono essere leali e di convinzione e non quelle di un reparto nemico imprigionato
e assediato che pensa all'evasione o alla sortita di sorpresa». Togliatti, che
si trovava a Mosca, decise di non renderla pubblica.
Impressionante è la sequenza degli eventi immediatamente
successivi. Il 31 ottobre in Italia il fallimento di un attentato a Mussolini
provocò un'ulteriore repressione poliziesca. Il leader sardo fu arrestato l'8
novembre 1926 nella suo domicilio romano, in deroga all'immunità parlamentare e
in circostanze che legittimano più che un sospetto quanto meno sul suo abbandono
da parte dei compagni.
– Perché Gramsci pone la sua attenzione verso il canto degli eretici di Dante? A cosa è dedicata la «nota dantesca» scritta in carcere?
I dannati del Canto X dell'Inferno sono coloro «che l'anima
col corpo morta fanno», ovvero gli eretici irriducibili, gli atei. Questa è la
ragione di fondo per cui Gramsci vi dedica tanta attenzione. Pur essendo stato
negli anni universitari una promessa della filologia, egli non ha infatti
alcuna intenzione di diventare un esegeta dantesco, anzi in una lettera a Iulca
irride i «professori rimminchiniti» che leggono 'religiosamente' la Commedia,
condividendone il contenuto ideologico. Il Canto X è tra i più noti non solo
dell'Inferno, ma dell'intera Commedia. Con quello di Paolo e
Francesca (V) e quello di Ulisse (XXVI) costituisce una trilogia esemplare, in
cui la concezione atea della poesia, dell'amore e della conoscenza, con cui nel
Duecento in Sicilia era nata la lingua italiana, è radicalmente condannata da
Dante, che trova l'uscita dalla «selva oscura», in cui dichiara di essersi
smarrito, nella conversione al Dio cristiano. Gramsci per primo scopre che
nelle feroci reticenze del canto di Cavalcante e Farinata, Dante ha celato
l'inconfessabile segreto del tradimento di una intera concezione della vita e
della poesia. Quella condivisa negli anni giovanili con Guido Cavalcanti, poeta
dell'amore carnale e irrazionale per la donna e eccellente filosofo naturale,
suo maestro e «primo amico». Del tutto originale è il giudizio gramsciano sul
Duecento e su Guido Cavalcanti, definito «massimo esponente» della rivolta al
pensiero teocratico medievale e del consapevole uso del volgare contro la
'romanitas' e Virgilio celebrati da Dante (Quaderno 7, 68).
– Studioso di linguistica, scrivi nel libro, Gramsci delinea uno schema per la storia degli intellettuali italiani, in cui la «quistione della lingua» dalle origini duecentesche si intreccia con la «quistione cattolica », e dal 1870 con la «quistione vaticana». Gramsci ateo e laico. Sta qui la frattura intellettualmente e politicamente insanabile con Togliatti?
La Commedia è per Gramsci «il canto del cigno
medievale» e, nella sua opera di latinizzazione del volgare, segna la fine
della gloriosa epopea laica dei comuni e il passaggio all'umanesimo cristiano (Quaderno
6, 63). Ha inizio da qui l'egemonia cattolica, di cui la «quistione della
lingua», così come è impostata da Dante nel De vulgari eloquentia,
rappresenta il cardine fondamentale. Con il tramonto del latino ecclesiastico e
l'affermazione degli idiomi volgari, ogni volta che nei secoli si ripropone la
questione della lingua - Gramsci osserva - la Chiesa oppone alla temutissima
'babele' dei dialetti della penisola il canone dell'imitazione della lingua
trecentesca di Dante e Petrarca. Del popolare e carnale Decameron di
Boccaccio, ricordiamo infatti, la Crusca provvide subito a riscrivere
un'edizione purgata. Accanto alla creazione con la Controriforma del
Vocabolario della Crusca, possiamo inserire in questo disegno il secolare
fenomeno del 'petrarchismo', la riscrittura dell'Orlando furioso in
volgare fiorentino da parte del ferrarese Ariosto, fino alla scelta manzoniana
di «sciacquare i panni in Arno» e oltre. La lettura della Commedia e de I
promessi sposi diventa imprescindibile nella formazione scolastica della
classe dirigente dell'Italia unitaria. E se la manzoniana Lucia è il modello
femminile di virtù cristiane, non possiamo fare a meno di notare che Dante e
Petrarca hanno strutturato la loro poesia, e con essa il lessico italiano,
sulla morte delle rispettive muse ispiratrici, Beatrice e Laura, e sulla
successiva conversione all'amore cristiano. Diventa così un topos nella
letteratura occidentale la tragica scomparsa dell'immagine femminile, rea di
avere avere invitato a una conoscenza della realtà umana mai fatta prima, e
allo sviluppo di un'identità fondata sull'amore, che era stata proposta nel
Duecento dai poeti siciliani e stilnovisti, nonostante la biblica condanna di
Eva per avere proposto ad Adamo la conoscenza del bene e del male.
La lingua italiana moderna secondo Tullio De Mauro è per il
90% la stessa di Dante. Una lingua spiritualizzata, nella quale la parola
«desiderio» si può orribilmente accostare alla morte, e definisce solo quello
spirituale degli angeli per Dio, mentre quello carnale per la donna è
peccaminoso «appetito». Pochi sono i letterati italiani che si sono ribellati
all'imposizione del fiorentino trecentesco, e non a caso si tratta di
irriducibili pensatori eretici, che come Cavalcanti hanno amaramente pagato la
loro rivolta alla religione con l'abbandono anche da parte dei compagni e con
la prematura morte. Parlo di Machiavelli, e soprattutto di Giordano Bruno.
– Iulca, Tatiana ed Eugenia. In che modo queste tre donne sono state delle figure fondamentali nella vita di Gramsci?
Le tre sorelle Schucht hanno occupato un posto importante
nella vita di Gramsci. Erano figlie di Apollon Schucht, un anarchico e poi
socialista legato da rapporti di familiarità con Lenin, con il quale aveva
condiviso un esilio a Samara e poi l'espatrio a Ginevra. Avevano poi vissuto e
si erano diplomate a Roma, Eugenia all'Accademia delle Belle arti, Tatiana in
biologia, Iulca in violino al conservatorio di santa Cecilia. Parlavano
correntemente l'italiano. Nell'imminenza della rivoluzione del 1917 la famiglia
Schucht era rientrata in Russia. Solo Tatiana era rimasta a Roma, e sarà lei
che, incontrato Gramsci solo nel 1925, ne seguirà tutta la vicenda carceraria,
da San Vittore a Turi, e poi durante il ricovero nelle cliniche di Formia e di
Roma fino alla morte nel 1937. Fu il tramite di elezione con il mondo esterno,
con la famiglia russa, con il Partito, confidente e depositaria delle volontà
di Gramsci. Dopo la morte di lui tornata in patria, intentò un procedimento
contro Togliatti - documentato da Mauro Canali nel libro Il tradimento.
Gramsci Togliatti e la verità negata (Marsilio, 2013) - a proposito della
«famigerata lettera» di Grieco del 1928, speditagli in carcere con timbro
russo, che ebbe un ruolo decisivo nella pesante condanna di Gramsci e fu il suo
tormentoso cruccio durante tutta la carcerazione. Eugenia, la maggiore, era
stata incontrata da Gramsci nel 1922 nel sanatorio di Serebrianj Bor, dove fu
ricoverato poco dopo il suo arrivo a Mosca. Rigida militante subito invaghitasi
di lui, fu presto soppiantata da Iulca, la giovane violinista giunta in visita
alla sorella, di cui il Professore italiano si innamorò dal primo incontro. La
drammatica storia d'amore con Iulca non può essere qui raccontata. Merita di
essere conosciuta attraverso le struggenti lettere dal carcere con cui Gramsci
segue sollecitamente la compagna, sottoposta a Mosca alla sorveglianza del
Partito e presto ammalatasi. E attraverso le toccanti lettere con le quali
Gramsci accompagna la crescita dei due figli lontani, Delio nato nel 1924 e
Giuliano, nato nel 1926 e mai conosciuto dal padre.
– Se Gramsci "è" Cavalcanti e Togliatti " è " Dante, come definiresti il rapporto di Gramsci con le donne?
Lo definirei decisivo, e assolutamente anomalo nel contesto
comunista, che non ha mai riservato molta attenzione agli affetti privati, e in
generale all'irrazionale e quindi alla ricerca sulla realtà umana. Anomalo
perché, trascorsi i primi due-tre anni dopo la rivoluzione di Ottobre, la
«quistione femminile», emblematicamente rappresentata dalla storia di
Aleksandra Kollontaij e dal suo scontro con Lenin, subisce dopo gli entusiasmi
libertari una decisa involuzione con la NEP. Con l'occasione di riforme
richieste dalla grave crisi economica, le donne vengono private di tutte le conquiste
rivoluzionarie e ricacciate al tradizionale ruolo di custodi del focolare
domestico.
Dal rapporto con Iulca a quello con la sorella Teresa, alla
convinzione della necessità della istruzione delle bambine, direi che il
rapporto con le donne di Gramsci rappresenta l'intima certezza dell'uguaglianza
per nascita, e insieme della diversità, pur nella difficile dialettica
sessuale. La condanna del logos e della religione nei confronti delle donne,
esseri umani meno provvisti di razionalità, non echeggia mai nella pagina
gramsciana. Da questa prima certezza discende in modo decisivo l'atteggiamento
di Gramsci nei confronti di tutti gli oppressi, ed è una componente
fondamentale della sua elaborazione della teoria dell'egemonia come lotta per
la conquista di un nuovo umanesimo, che vada oltre la scissione, condivisa da
Platone e dalla Bibbia, tra corpo e mente, tra affetti e ragione.
Togliatti, è qui appena il caso di ricordare, addita
ripetutamente alle donne comuniste l'esempio delle grandi sante cattoliche come
modello di realizzazione. E non mostra certo nei confronti dei figli, degli
artisti, degli oppressi la sensibilità di Gramsci.
– "Il Vaticano è un nemico internazionale del proletariato rivoluzionario" avvertiva Gramsci. Oggi invece specie in Italia quel che resta della Sinistra esalta papa Bergoglio definendo rivoluzionarie e progressiste le sue idee... sul welfare, sulle donne, sui bambini, sull'essere umano in generale. Qual è il tuo parere?
Le analisi dedicate da Gramsci al Vaticano e alla capillare
organizzazione mondiale con cui si assicura il potere politico ed economico
sono forse la ragione della scarsa conoscenza del suo geniale pensiero in
Italia, che si può osservare tuttora.
Non mi voglio dilungare sulla tragica farsa di una sinistra
italiana in ginocchio davanti al Papa gesuita vestito da francescano, colluso a
suo tempo con il regime di Videla, che senza suscitare scandalo afferma che «i bambini battezzati non
sono uguali ai non battezzati». Un Papa che continua di fatto a coprire
la pedofilia ecclesiastica, come accusa l'Onu evidenziando le profonde radici
'culturali' di un crimine continuato, perpetrato in tutto il mondo ai danni,
soprattutto, degli indifesi. Il progressismo delle idee bergogliane sul
welfare? Dico solo che tra l'assistenzialismo cattolico nei confronti dei
poveri e l'emancipazione degli oppressi perseguita da Gramsci l'abisso è
incolmabile. Docce e barbiere per i barboni sotto il colonnato del Bernini non
bastano. Parliamo piuttosto di Scuola pubblica abbandonata e di Scuole
cattoliche sovvenzionate, contro il dettato costituzionale, dallo Stato
italiano qualsiasi sia il governo in carica.
– Qual è secondo te la dimensione più attuale del pensiero gramsciano?
Gramsci è oggi, con Machiavelli, l'autore italiano più
tradotto e studiato nel mondo. L'attualità di questo grande inattuale consiste
nella proposta articolata di un nuovo umanesimo, che vada oltre il fallimento
del comunismo, individuando il punto in cui Marx ha perduto la speranza di
trovare una nuova idea di realtà umana, non viziata dalla millenaria e falsa
scissione tra corpo e spirito: quella nuova antropologia che Feuerbach
assegnava come compito delle future generazioni. Che vada oltre le aporie della
scissione tra struttura economica e soprastruttura, che si riflette nella
distinzione elaborata dallo psichiatra Massimo Fagioli tra bisogni ed esigenze.
La realtà umana è fatta non solo di bisogni materiali da soddisfare, come vuole
il marxismo, ma di esigenze di realizzazione della propria identità. Attento
traduttore degli scritti del giovane Marx, Gramsci ne scopre le carenze proprio
mentre scrive la «nota dantesca». Nemico delle «filosofie definitive», rifiuta
l'idea di «un inconoscibile», detto da Kant «noumeno» e da Croce «dio ignoto» (Quaderno
10, 40). Non ha la soluzione, ma non si piega alla millenaria credenza, e
prevede che «quando gli strumenti 'fisici' e intellettuali degli uomini saranno
più perfetti», qualcuno raccoglierà la ricerca della «perla delle perle», che
Marx diciannovenne nella Lettera al padre del 10 novembre 1837
raccontava di avere fallito, cadendo nelle braccia di Hegel. La scoperta della
nascita umana, teorizzata da Fagioli dal 1971 con Istinto di morte e
conoscenza (L'Asino d'oro edizioni), offre alla sinistra la chiave
dell'uguaglianza naturale di tutti gli esseri umani che Gramsci cercava (per
approfondire, su Babylon Post: Uguale e diverso: dai calcoli degli antichi alla scienza
della realtà umana di Edoardo B. Drummond ). La teoria della nascita
costituisce l'unico vero fondamento di quella «rivoluzione non delle armi, ma
del pensiero e della parola», che Antonio Gramsci disegnava nel carcere degli
eretici con la sua nuova idea di egemonia culturale dal basso.