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Le teorie economiche di Sraffa, pur non essendo marxiste, furono influenzate
dal suo rapporto personale e professionale con Gramsci
► Ciò che unisce Wittgenstein a Gramsci è l’idea che la dimensione cooperativa e pratica della comunicazione non debba essere distorta da un apparato teorico
Guido Seddone | Lo stabilirsi di una procedura sociale dominante viene
considerato spesso in ambito filosofico con sospetto per via del rischio di
polarizzazione o accentramento di potere politico e finanziario da parte di forze
o classi sociali spesso minoritarie. La fase successiva allo stabilirsi di una
procedura sociale è la sua giustificazione che in ambito marxista è solitamente
definita come Ideologia. Tale ideologia ha una base filosofica in quanto
coinvolge e presuppone una coerente unità del pensiero e una concezione del
reale che si differenzia dal senso comune per il fatto di non essere
frammentata ed occasionale. Inoltre, l’elemento ideologico si concretizza sia
attraverso teorie economiche e politiche sia attraverso un assetto
istituzionale e legale che rende possibile la conservazione e stabilizzazione
delle attività produttive e dei conseguenti equilibri sociali. ► Ciò che unisce Wittgenstein a Gramsci è l’idea che la dimensione cooperativa e pratica della comunicazione non debba essere distorta da un apparato teorico
Diretta
conseguenza di tale stabilizzazione dei rapporti economici e produttivi è il
fatto che una ideologia tende a “nascondere” le crisi sociali, economiche e
politiche che si innescano come effetto della procedura dominante e dei suoi
assetti socio-finanziari. Un sistema ideologico è per necessità un sistema che
tutela e giustifica interessi particolari e attitudini individuali a discapito
dell’intero sistema sociale e produttivo in cui esso si innesta. Le componenti
di un sistema ideologico sono molteplici ed includono teorie economiche,
principi giuridici, interpretazioni storiche, principi filosofici ecc. A causa
del suo carattere teorico e autoreferenziale l’ideologia non tutela l’intera
comunità e viene applicata a prassi sociali e produttive portate avanti e
sostenute da molti più individui di quelli che determinano l’ideologia stessa.
Avviene così che l’uomo comune chiamato da Gramsci uomo-massa1 subisce l’ideologia e la prassi
sociale dominante in maniera acritica ed inconsapevole divenendo strumento di
una classe egemone, di una classe, cioè, che ha sviluppato una concezione
teorica della realtà per la salvaguardia dei propri interessi particolari. In
questo contributo si analizza il nesso teorico tra prassi e crisi e ci si
confronta con l’opera di tre pensatori accomunati da un forte interesse per il
carattere immanente delle prassi sociali e per una certa diffidenza nei
confronti di teorie isolate dal contesto operativo e storico.
Il divario tra
teoria e prassi: Gramsci
Il divario tra teoria e prassi è stato oggetto di ampie
riflessioni da parte di Gramsci, in particolare durante il periodo della
carcerazione, che hanno trovato una eccellente formulazione nel Quaderno 11 scritto tra il 1932 ed il
1933 e che porta il titolo di Introduzione
allo studio della filosofia. Oggetto principale del saggio è la
subordinazione intellettuale delle masse, il ruolo emancipatore della filosofia
e, soprattutto, il primato della prassi sulla teoria. La subordinazione delle
masse viene intesa come conseguenza del fatto che i membri, pur appartenendo ad
una precisa comunità storica con precisi standard e modalità di produzione, non
sono in grado di sviluppare una concezione coerente ed unitaria del reale e del
proprio contesto sociale ma solo un sapere frammentario ed occasionale2. Nonostante l’appartenenza ad un
determinato gruppo sociale sia determinata dal fatto di condividere uno stesso
modo di pensare ed operare, l’assenza di una concezione critica comporta la
subordinazione a quei fattori teorici che determinano l’assetto politico,
legale, economico ed istituzionale del raggruppamento stesso. Infatti,
l’affermazione di una concezione del mondo su altre non è sempre espressione
dell’appartenenza ad un raggruppamento sociale e a delle prassi cooperative,
spesso, è, al contrario, espressione di una teoria svincolata dalle attività
reali e produttive. Come Gramsci giustamente nota, questo divario tra la teoria
e la prassi, parallelamente al mancato sviluppo di un pensiero critico diffuso,
è responsabile della subordinazione delle masse a gruppi socialmente egemoni3. Il fatto che un intero sistema produttivo,
rappresentato da ciò che il linguaggio marxista ottocentesco chiama “i
lavoratori” e che noi oggi saremmo più modernamente indotti a chiamare “i
cittadini”, possa venire subordinato ad una concezione del mondo evoluta
indipendentemente dalle prassi e dai bisogni individuali è la ragione per cui
l’attività teorica andrebbe, secondo Gramsci, profondamente riformata. Infatti,
la possibilità che emerga una ideologia che lasci «i “semplici” nella loro
filosofia primitiva del senso comune»4è di impedimento a che emerga una concezione
unitaria, espressione diretta delle prassi cooperative e produttive. Il mancato
sviluppo di tale concezione unitaria consente che l’ideologia dominante, oltre
a giustificare se stessa attraverso la cultura conformista, possa sostenere e
giustificare l’affermarsi di attitudini individualiste ed opportunistiche
all’interno della dimensione materiale della produzione. La subordinazione
intellettuale e sociale delle masse causata dallo sviluppo di una teoria
sociale svincolata dalle prassi è così fonte di squilibri economici ed
diseguaglianze sociali perché le masse, artefici delle attività produttive, non
sono nelle condizioni di sviluppare autonomamente una concezione del reale
conforme alla loro identità. Esse subiscono una ideologia a loro profondamente
estranea che è inoltre causa dello sfruttamento del loro lavoro.
L’approccio di Gramsci rivela un’innovativa concezione delle
crisi economiche rispetto a quella di Marx. Infatti, mentre Marx tratta le
crisi economiche come un fatto connaturato al rapporto squilibrato tra
produzione e salario, per Gramsci la crisi è un fatto che concerne
l’inappropriata applicazione di teorie economiche e assetti legali a prassi
originariamente estranee a tali teorie. Prassi che non hanno saputo né potuto
sviluppare una concezione unitaria della realtà, e ne subiscono una a loro
estranea esponendosi al rischio di crisi, cioè di uno sfaldamento del loro
carattere unitario e cooperativo5. Il conflitto pensato da Gramsci in queste
pagine è quello interno ad un organismo sociale, diviso tra l’immanenza delle
sue attività produttive e l’estraneità di istituzioni inadeguate perché
generate in ambito teorico. La divisione tra teorici e uomini-massa può venire
superata attraverso alterne vicende in cui intellettuali responsabili e vicini
alle prassi oltre a sviluppare teorie appropriate conducano gli “uomini-massa”
ad una coscienza critica, ad un sapere cioè unitario e non occasionale.
Attraverso la diffusione della filosofia e del sapere critico è possibile
preservare il carattere originariamente unitario delle prassi cooperative dalla
dissoluzione e dallo sfruttamento da parte di interessi estranei ed
individualistici. L’egemonia è, per Gramsci, propriamente la condizione
politica in cui un intero raggruppamento sociale è giunto ad essere consapevole
della propria identità perché ha potuto sviluppare un sapere e una concezione
del mondo unitari e non occasionali6. È inoltre una condizione in cui si
preserva il carattere unitario e coerente delle attività produttive perché si
sono eliminati dal sapere e dalla coscienza collettive fattori determinati
individualisticamente. In una condizione di egemonia le crisi sociali ed
economiche possono venire superate attraverso la trasformazione unitaria e
coordinata dell’intero assetto pratico senza bisogno di fare ricorso a teorie
economiche, politiche o filosofiche provenienti da classi intellettuali e
politiche aliene. In questo modo la dimensione quasi utopica della fine del
conflitto e delle crisi può venire raggiunta attraverso l’innalzamento delle
prassi e dei loro membri ad una condizione di sapere critico e consapevole.
Compito della filosofia è quello propriamente di non essere sapere esclusivo
per poche élite ma di diffondersi nel sistema produttivo allo scopo di
preservarlo dal suo interno, cioè attraverso gli artefici stessi della
produzione7. Infatti, il senso comune è considerato da
Gramsci come la forma embrionale della filosofia delle prassi in quanto
attraverso esso è possibile sviluppare un senso della realtà e un senso di
identità sociale. Compito dell’intellettuale e del filosofo è propriamente
quello di elevare questo senso comune al rango di sapere coerente ed unitario
al fine di rafforzare il carattere unitario e cooperativo delle attività
produttive e di preservarle dalla dissoluzione e dallo sfruttamento da parte di
tendenze individualistiche.
Wittgenstein &
Sraffa
Il divario tra teoria e prassi è considerato da Gramsci come
il principale responsabile delle disuguaglianze sociali, dei conflitti e degli
squilibri economici in quanto non consente l’elevazione del senso comune a
sapere critico e favorisce la formazione di un sapere estraneo alla dimensione
pratica e produttiva della società. Il filosofo sardo è così l’iniziatore di
una “filosofia delle prassi” che avrà un seguito importante a Cambridge attraverso
l’opera di Piero Sraffa e di Ludwig Wittgenstein. Come evidenzia anche Amartya
Sen nel contributo Sraffa, Wittgenstein, and Gramsci (2003), la svolta del
pensiero di Wittgenstein fu, per ammissione dello stesso filosofo viennese8, influenzata dalle conversazioni avute con
Sraffa durante gli anni ‘30 a Cambridge, dove entrambi ricoprivano ruoli
accademici. Wittgenstein aveva infatti ottenuto nel 1929 una Fellowship presso
la facoltà di filosofia, mentre Sraffa insegnava già dal 1927 nella facoltà di
economia. Secondo un famoso aneddoto, Sraffa avrebbe indotto Wittgenstein a
rivedere la sua teoria sulla forma logica delle proposizioni elementari quando,
durante una conversazione in treno, gli chiese di illustrare la forma logica di
un tipico gesto napoletano espressione di scetticismo. La teoria di
Wittgenstein formulata nel Tractatus si basava sull’assunto che ogni
proposizione del linguaggio e ciò che essa descrive devono avere la stessa
forma logica, questo però non rende conto di tutte quelle enunciazioni dei
linguaggi naturali che hanno un carattere prettamente pratico e comunicativo.
La conversazione con Sraffa indusse Wittgenstein a riflettere sulla connessione
tra significato ed uso e a giungere alla formulazione della nozione di “gioco
linguistico”. Sul versante italiano, tra Sraffa a Gramsci vi era una profonda
amicizia sin dai primi anni ‘20 e i loro incontri si protrassero anche durante
la prigionia del secondo; questo legame spiegherebbe, secondo Sen, sia la
teoria economica di Sraffa sia l’influenza esercitata su Wittgenstein9. D’altronde come negare che il seguente
passo dei Quaderni non possa anche venire attribuito al Wittgenstein
delle Ricerche filosofiche:
Per la propria concezione del mondo si appartiene sempre ad un determinato aggruppamento, e precisamente a quello di tutti gli elementi sociali che condividono uno stesso modo di pensare e di operare. Si è conformisti di un qualche conformismo, si è sempre uomini-massa o uomini-collettivi.10
Al di là dai rapporti biografici, l’interesse di
Wittgenstein verso la natura pratica del significato e delle enunciazioni
sintetizza l’attenzione verso la dimensione delle prassi storiche su cui si
modula una lingua e una cultura piuttosto che verso gli aspetti formali e
metodologici dello sviluppo di una lingua scientifica. Ciò che unisce
Wittgenstein a Gramsci è l’idea che la dimensione cooperativa e pratica della
comunicazione non debba essere distorta da un apparato teorico ad essa estranea
ma piuttosto rappresentato come un sistema spontaneo e cooperativo di costrutti
imparentati tra loro11. Sebbene Wittgenstein non si soffermi su
aspetti politici o sociali della sua filosofia della prassi, egli ci da
un’importante indicazione in merito a quello che dovrebbe essere il compito
della filosofia. Il pensiero filosofico dovrebbe svolgere un’azione terapeutica
nei confronti di quei comportamenti teorici che aspirano a determinare il corso
pratico di un raggruppamento sociale svincolando il significato delle
enunciazioni al loro uso12>. La crisi è per Wittgenstein il risultato
di uno sganciamento dall’ambito pratico in favore di una attitudine teorica che
dimentica il carattere olistico del proferire linguistico, ossia il fatto che
gli enunciati di una lingua sono connessi in maniera unitaria ad una dimensione
sociale in cui gli uomini operano e prosperano. Valorizzare le prassi significa
superare il conflitto che la teoria stabilisce con esse e sottolineare il
carattere essenzialmente pratico e cooperativo del comportamento umano. Il
pensatore viennese non approfondisce tematiche di natura sociale o economiche,
al contrario, egli tende ad estendere la sua riflessione a questioni di natura
esistenziale e teologica. La crisi appartiene per lui alla dimensione privata
del pensiero, la giusta terapia è invece la dimensione pubblica e sociale delle
prassi. Tuttavia, dalle sue idee noi possiamo dedurre che il conflitto, di
qualsiasi natura possa essere, psicologico, personale, sociale o economico,
emerge dalla separazione individualistica e teorica dalla dimensione pratica e
sociale dell’uso. Il conflitto e la crisi insorgono, quindi, dall’innestare
elementi teorici nell’analisi delle prassi sociali allo scopo di determinarne il
corso13.
La nuova saggezza nei confronti delle prassi umane in comune tra Gramsci e Wittgenstein trova una formulazione interessante nella teoria economica di Sraffa. Tale teoria non va collocata nella tradizione marxista, contiene però, come quella di Keynes, una concezione laburista della produzione. Nel suo Production of Commodities by Means of Commodities: Prelude to a Critique of Economic Theory (1960)14, egli porta avanti una critica alla concezione economica classica secondo cui il profitto individuale in una condizione di libero mercato è la conseguenza della concentrazione di tecnologia, conoscenze, macchinari e controllo dei processi produttivi. Il profitto viene considerato, quindi, come un interesse che si matura su oggettivi meriti e risultati raggiunti e non viene messo in relazione alla produzione medesima. La critica di Sraffa dimostra al contrario che questo approccio non mette in relazione il guadagno con il contesto economico presente e lo svincola sistematicamente dalle prassi produttive. Se, al contrario, esso si riduce, le teorie economiche classiche attribuiscono questo calo della rendita a delle mutate condizioni del mercato, che magari hanno reso obsolete certe tecniche di produzione o certi macchinari. Secondo Sraffa, invece, il guadagno è sempre da ricondurre alle condizioni generali delle prassi produttive che rendono possibile un incremento o una decrescita dei profitti sul capitale accumulato. Ciò permette di considerare anche gli aspetti sociali e politici della produzione e non solo quelli tecnicamente finanziari. Infatti l’incremento del profitto può anche essere attribuito al calo dei salari, allo sfruttamento della manodopera o, più in generale, al contributo di tutte le forze produttive. Il nostro autore facendo ricorso ad una concezione estesa di prassi produttive supera la concezione liberale che l’interesse sul capitale sia da ricondurre esclusivamente alla qualità dei meriti personali accumulati (competenze, macchinari, tecniche di produzione ecc.) e può affermare che il profitto individuale è sempre da spiegar nel contesto di un ampio sistema di produzione in cui ciascun membro offre il suo contributo.
Questa attenzione verso le prassi produttive indusse Sraffa
anche a rivedere la classica questione economica relativa al valore e al prezzo
dei prodotti. Come giustamente osserva Sen15, prima di Sraffa sia le teorie economiche
classiche che quelle marxiste spiegavano il valore delle merci facendo ricorso
alle nozioni di “utile” e di “utile individuale”. Dal punto di vista di Sraffa,
questo approccio ha il limite di innestare fattori individuali per spiegare
processi cooperativi e di pretendere di determinare il valore e il prezzo dei
prodotti esclusivamente dall’interesse individualistico di ciascuno. Di fatto,
adottare le categorie individuali di profitto, utile, soddisfazione dei bisogni
e sfruttamento del lavoro implica inserire fattori potenzialmente conflittuali
in prassi originariamente cooperative. Implica, inoltre, teorizzare una perenne
scissione dell’interesse personale di ciascun membro dal procedere stesso della
produzione, del progresso e della crescita economica. Espresso in termini
epistemologici, significa utilizzare delle nozioni controfattuali per spiegare
fenomeni altrimenti osservabili in termini di stimolo/risposta. Infatti,
presumere un utile individuale nella determinazione del prezzo, ad esempio,
dell’oro significa inserire nozioni controfattuali del tipo “il prezzo sale
perché se uno possedesse oggi dell’oro avrebbe a disposizione un bene rifugio”,
oppure “il prezzo cala perché se uno vendesse oggi il proprio oro potrebbe
guadagnare di più rispetto a quando l’ha comprato”. Di conseguenza, il valore
ed il prezzo dei prodotti non dipendono da attitudini mentali individuali da
spiegare attraverso la nozione di utile e facendo ricorso ad esempi
controfattuali, ma da condizioni materiali di produzione e di scambio
storicamente osservabili in quanto inserite nelle attività produttive.
Le teorie economiche di Sraffa, pur non essendo marxiste,
furono sicuramente influenzate dal suo rapporto personale e professionale con
Gramsci. Entrambi sottolineano il carattere immanente delle prassi e la
confusione che sorge dall’investigare fattori estranei ad esse. Sraffa dimostra
egregiamente che considerare il profitto individuale come esclusivo risultato
di una capitalizzazione di competenze, risorse finanziare, macchinari,
tecnologie ecc. non riflette tutte le condizioni sociali e pratiche che stanno
alla base di quel profitto. Tale atteggiamento teorico è, invece, uno dei
principali motivi di crisi e conflitto all’interno delle società liberali
perché non distingue fattori individuali da condizioni sociali e istituzionali
che favoriscono il guadagno e pone un divario tra interesse personale e
andamento economico generale.
Conclusione
I tre autori presi in considerazione in questo contributo
condividono l’idea che la nozione generale di crisi (personale, sociale,
politica o economica) è spiegabile come conflitto tra attitudini teoriche
individualistiche e andamento storico del contesto pratico in cui si opera.
Essere fedeli alle prassi ha il vantaggio di impedire un uso inappropriato del
linguaggio (Wittgenstein), di favorire una comunicazione tra intellettuali e
uomini-massa e di elevare il senso comune a sapere critico (Gramsci) ed infine
di non spiegare il profitto economico esclusivamente nei termini di merito
individuale (Sraffa). Questo significa che questi tre autori individuano le
ragioni del conflitto e della crisi nei termini di un “voler uscire” dal
linguaggio e dalle prassi condivise e di porsi in contrapposizione ad esse.
Gramsci, tra i tre, è sicuramente quello che nella filosofia della prassi
intravede maggiormente la possibilità di comprendere i complessi fattori
storici delle diseguaglianze economiche e dell’emarginazione sociale. Egli,
infatti, critica lo sviluppo di quelle teorie e saperi che sono disgiunti dalle
reali prassi produttive e che, a causa di questo, favoriscono la subordinazione
intellettuale e politica delle masse a favore di pochi individui. La mancata elevazione
del senso comune a sapere critico e il suo mantenimento a stadio embrionale del
sapere sono, secondo lui, il motivo maggiore delle crisi economiche in quanto
impediscono che quelli che lui astrattamente chiama “raggruppamenti sociali” si
evolvano in maniera uniforme ed unitaria secondo una concezione sostenibile
della realtà. Confrontarsi con una crisi significa, quindi, confrontarsi con la
differenza posta dalla teoria nei confronti delle reali attività umane, mentre
superarla è possibile riscoprendo e preservando il carattere originariamente
unitario e cooperativo delle prassi produttive.
Note
1 A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Vol. II, Einaudi, Torino 1977, p. 1376.
2 Ibidem: «Per la propria concezione del mondo si appartiene sempre ad un determinato aggruppamento, e precisamente a quello di tutti gli elementi sociali che condividono uno stesso modo di pensare e di operare ... Quando la concezione del mondo non è critica, e coerente ma occasionale e disgregata, si appartiene simultaneamente a una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è composita in modo bizzarro: si trovano in essa elementi dell’uomo delle caverne e principii della scienza più moderna e progredita, pregiudizi di tutte le fasi storiche passate grettamente localistiche e intuizioni di una filosofia avvenire quale sarà propria del genere umano unificato mondialmente».
3 Ivi, p. 1379: «Significa che un gruppo sociale, che ha una sua propria concezione del mondo, sia pure embrionale, che si manifesta nell’azione, e quindi saltuariamente, occasionalmente, cioè quando un tal gruppo si muove come un insieme organico, ha, per ragione di sottomissione e subordinazione intellettuale, preso una concezione non sua a prestito da un altro gruppo e questa afferma a parole, e questa anche crede di seguire, perché la segue in “tempi normali”, cioè quando la condotta non è indipendente e autonoma, ma appunto sottomessa e subordinata».
4 Ivi, p. 1384.
5 Ivi, p. 1385: «L’uomo attivo di massa opera praticamente, ma non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare. Si può quasi dire che egli ha due coscienze teoriche (o una coscienza contraddittoria), una implicita nel suo operare e che realmente lo unisce a tutti i suoi collaboratori nella trasformazione pratica della realtà e una superficialmente esplicita o verbale che ha ereditato dal passato e ha accolto senza critica».
6 Ivi, pp. 1385-1386: «Ecco perché è da mettere in rilievo come lo sviluppo politico del concetto di egemonia rappresenta un grande progresso filosofico oltre che politico-pratico, perché necessariamente coinvolge e suppone una unità intellettuale e una etica conforme a una concezione del reale che ha superato il senso comune ed è diventata, sia pure entro limiti ancora ristretti, critica».
7 Ivi, p. 1375: «Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali o sistematici. Occorre pertanto dimostrare preliminarmente che tutti gli uomini sono “filosofi”, definendo i limiti e i caratteri di questa “filosofia spontanea” ...».
8 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1983, Prefazione dell’autore, p. 4: «‒ Ancor più che a questa critica [di Ramsey, N.d.A.] ‒ sempre vigorosa e sicura ‒ la mia gratitudine va a quella che un insegnante di quest’Università, P. Sraffa, ha per molti anni esercitato incessantemente sul mio pensiero. A questo stimolo sono debitore delle più feconde idee contenute nel presente scritto».
9 A. Sen, Sraffa, Wittgenstein, and Gramsci in Journal of Economic Literature, Vol. 41, No. 4 (Dec., 2003), pp. 1240-1255, p. 1245: «How exactly Sraffa’s ideas linked with Gramsci's, and how they influenced each other, are subjects for further research. But it is plausible to argue that, in one way or another, Sraffa was quite familiar with the themes that engaged Gramsci in the twenties and early thirties. It is not very hard to under-stand why the program of Wittgenstein's Tractatus would have seemed deeply mis-guided to Sraffa, coming from the intellectual circle to which he belonged. Nor is it difficult to see why the fruitfulness of "the anthropo-logical way"—novel and momentous as it was to Wittgenstein—would have appeared to Sraffa to be not altogether unobvious».
10 A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Vol. II, cit., p. 1376.
11 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., § 108: «Riconosciamo che ciò che chiamiamo «proposizione», «linguaggio», non è quell’unità formale che immaginavo, ma una famiglia di costrutti più o meno imparentati l’uno con l’altro. – Che ne è allora della logica? Qui il suo rigore sembra dissolversi. – Ma in questo caso essa non svanisce del tutto? – Come può infatti la logica perdere il suo rigore? Non di certo mercanteggiando perché ceda una parte del suo rigore. – Il pregiudizio della purezza cristallina può essere eliminato soltanto facendo ruotare tutte quante le nostre considerazioni».
12 Ivi, § 133. Per quanto riguarda il primato delle prassi si consideri, tra gli altri, anche il § 129: «Gli aspetti più importanti per noi delle cose sono nascosti dalla loro semplicità e quotidianità (Non ce ne possiamo accorgere, - perché li abbiamo sempre sotto gli occhi.) Gli autentici fondamenti di una ricerca non danno affatto nell’’occhio a chi vie è impegnato; a meno che non sia stato colpito una volta da questo fatto. — E questo vuol dire: ciò che, una volta visto, è il più evidente, e il più forte, questo non ci colpisce».
13 Ivi, § 199: «Ciò che chiamiamo “seguire una regola” è forse qualcosa che potrebbe essere fatto da un solo uomo, una sola volta nella sua vita? – E questa, naturalmente, è una annotazione sulla grammatica dell’espressione “seguire una regola”. Non è possibile che un solo uomo abbia seguito una regola una sola volta. Non è possibile che una comunicazione sia stata fatta una sola volta, una sola volta un ordine sia stato dato e compreso, e così via. – Fare una comunicazione, dare o comprendere un ordine, e simili, non sono cose che possano essere state fatte una sola volta. – Seguire una regola, fare una comunicazione, dare un ordine, giocare una partita a scacchi sono abitudini (usi, istituzioni)».
14 P. Sraffa, Production of Commodities by Means of Commodities: Prelude to a Critique of Economic Theory, Cambridge University Press, Cambridge, 1960.
15 A. Sen, Sraffa, Wittgenstein, and Gramsci in Journal of Economic Literature, Vol. 41, No. 4 (Dec., 2003), pp. 1240-1255, p. 1250: «Indeed, it is important to recollect, in this context, the significance that has typically been attached, in the perspectives of classical political economy and Marxian economics, not just to labor and production, but also to the idea of "use value" (and to its successor concept in the form of satisfaction—or "utility"—that commodities may generate). The comparison between the two rival value theories in the form of labor theory and utility theory was taken to be of interest precisely because both made socially engaging statements; there is no attempt here to deny the nature of social interest in utility theory as a theory of value».
2 Ibidem: «Per la propria concezione del mondo si appartiene sempre ad un determinato aggruppamento, e precisamente a quello di tutti gli elementi sociali che condividono uno stesso modo di pensare e di operare ... Quando la concezione del mondo non è critica, e coerente ma occasionale e disgregata, si appartiene simultaneamente a una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è composita in modo bizzarro: si trovano in essa elementi dell’uomo delle caverne e principii della scienza più moderna e progredita, pregiudizi di tutte le fasi storiche passate grettamente localistiche e intuizioni di una filosofia avvenire quale sarà propria del genere umano unificato mondialmente».
3 Ivi, p. 1379: «Significa che un gruppo sociale, che ha una sua propria concezione del mondo, sia pure embrionale, che si manifesta nell’azione, e quindi saltuariamente, occasionalmente, cioè quando un tal gruppo si muove come un insieme organico, ha, per ragione di sottomissione e subordinazione intellettuale, preso una concezione non sua a prestito da un altro gruppo e questa afferma a parole, e questa anche crede di seguire, perché la segue in “tempi normali”, cioè quando la condotta non è indipendente e autonoma, ma appunto sottomessa e subordinata».
4 Ivi, p. 1384.
5 Ivi, p. 1385: «L’uomo attivo di massa opera praticamente, ma non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare. Si può quasi dire che egli ha due coscienze teoriche (o una coscienza contraddittoria), una implicita nel suo operare e che realmente lo unisce a tutti i suoi collaboratori nella trasformazione pratica della realtà e una superficialmente esplicita o verbale che ha ereditato dal passato e ha accolto senza critica».
6 Ivi, pp. 1385-1386: «Ecco perché è da mettere in rilievo come lo sviluppo politico del concetto di egemonia rappresenta un grande progresso filosofico oltre che politico-pratico, perché necessariamente coinvolge e suppone una unità intellettuale e una etica conforme a una concezione del reale che ha superato il senso comune ed è diventata, sia pure entro limiti ancora ristretti, critica».
7 Ivi, p. 1375: «Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali o sistematici. Occorre pertanto dimostrare preliminarmente che tutti gli uomini sono “filosofi”, definendo i limiti e i caratteri di questa “filosofia spontanea” ...».
8 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1983, Prefazione dell’autore, p. 4: «‒ Ancor più che a questa critica [di Ramsey, N.d.A.] ‒ sempre vigorosa e sicura ‒ la mia gratitudine va a quella che un insegnante di quest’Università, P. Sraffa, ha per molti anni esercitato incessantemente sul mio pensiero. A questo stimolo sono debitore delle più feconde idee contenute nel presente scritto».
9 A. Sen, Sraffa, Wittgenstein, and Gramsci in Journal of Economic Literature, Vol. 41, No. 4 (Dec., 2003), pp. 1240-1255, p. 1245: «How exactly Sraffa’s ideas linked with Gramsci's, and how they influenced each other, are subjects for further research. But it is plausible to argue that, in one way or another, Sraffa was quite familiar with the themes that engaged Gramsci in the twenties and early thirties. It is not very hard to under-stand why the program of Wittgenstein's Tractatus would have seemed deeply mis-guided to Sraffa, coming from the intellectual circle to which he belonged. Nor is it difficult to see why the fruitfulness of "the anthropo-logical way"—novel and momentous as it was to Wittgenstein—would have appeared to Sraffa to be not altogether unobvious».
10 A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Vol. II, cit., p. 1376.
11 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., § 108: «Riconosciamo che ciò che chiamiamo «proposizione», «linguaggio», non è quell’unità formale che immaginavo, ma una famiglia di costrutti più o meno imparentati l’uno con l’altro. – Che ne è allora della logica? Qui il suo rigore sembra dissolversi. – Ma in questo caso essa non svanisce del tutto? – Come può infatti la logica perdere il suo rigore? Non di certo mercanteggiando perché ceda una parte del suo rigore. – Il pregiudizio della purezza cristallina può essere eliminato soltanto facendo ruotare tutte quante le nostre considerazioni».
12 Ivi, § 133. Per quanto riguarda il primato delle prassi si consideri, tra gli altri, anche il § 129: «Gli aspetti più importanti per noi delle cose sono nascosti dalla loro semplicità e quotidianità (Non ce ne possiamo accorgere, - perché li abbiamo sempre sotto gli occhi.) Gli autentici fondamenti di una ricerca non danno affatto nell’’occhio a chi vie è impegnato; a meno che non sia stato colpito una volta da questo fatto. — E questo vuol dire: ciò che, una volta visto, è il più evidente, e il più forte, questo non ci colpisce».
13 Ivi, § 199: «Ciò che chiamiamo “seguire una regola” è forse qualcosa che potrebbe essere fatto da un solo uomo, una sola volta nella sua vita? – E questa, naturalmente, è una annotazione sulla grammatica dell’espressione “seguire una regola”. Non è possibile che un solo uomo abbia seguito una regola una sola volta. Non è possibile che una comunicazione sia stata fatta una sola volta, una sola volta un ordine sia stato dato e compreso, e così via. – Fare una comunicazione, dare o comprendere un ordine, e simili, non sono cose che possano essere state fatte una sola volta. – Seguire una regola, fare una comunicazione, dare un ordine, giocare una partita a scacchi sono abitudini (usi, istituzioni)».
14 P. Sraffa, Production of Commodities by Means of Commodities: Prelude to a Critique of Economic Theory, Cambridge University Press, Cambridge, 1960.
15 A. Sen, Sraffa, Wittgenstein, and Gramsci in Journal of Economic Literature, Vol. 41, No. 4 (Dec., 2003), pp. 1240-1255, p. 1250: «Indeed, it is important to recollect, in this context, the significance that has typically been attached, in the perspectives of classical political economy and Marxian economics, not just to labor and production, but also to the idea of "use value" (and to its successor concept in the form of satisfaction—or "utility"—that commodities may generate). The comparison between the two rival value theories in the form of labor theory and utility theory was taken to be of interest precisely because both made socially engaging statements; there is no attempt here to deny the nature of social interest in utility theory as a theory of value».
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