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Stalin ✆ Otchetnyj Doklad |
Di qui una ridda di articoli di stampa, centrati su
sottigliezze filologiche, sulla non novità degli argomenti, sul fatto che
questi nulla aggiungano a quanto conosciuto e già confutato ad abbondanza,
naturalmente sull’iscriversi della vicenda nel "terrore staliniano"
(Evghenia sarebbe stata una fervente staliniana…), e che in
definitiva si sarebbe potuto pensare ad un complotto… contro Togliatti.
definitiva si sarebbe potuto pensare ad un complotto… contro Togliatti.
Nessuno ha però posto in dubbio né l’autenticità della
lettera né che essa rispondesse al reale sentire delle scriventi e, finché
vivo, dello stesso Gramsci. A noi non interessa qui parlare del presunto
tradimento o quanto meno scorrettezza nei confronti di Gramsci prigioniero,
dell’autore supposto di tali comportamenti (si può anche pensare a sospetti e
timori eccessivi), dei perché e percome. Troviamo che la congerie di scritti
presentataci sia nel complesso piuttosto futile e scadente, perché di tutto si
occupa meno che, con fuggevoli e non rese evidenti eccezioni di A. Santucci e
di A. Burgio, della questione centrale: il rapporto di Gramsci con Stalin, sul
quale la vulgata dei revisionisti (del marxismo-leninismo, non quelli storici)
ha costruito l’indegna leggenda dell’estraneità o addirittura dell’avversione
tra i due. Tutto basato sul nulla, dato che i passi dei Quaderni del carcere, che si occupano di Stalin, di Trotzki e del
socialismo sovietico, sono tutti a favore di Stalin. In un passo del 1930-32
(citiamo sempre dall’edizione Gerratana, qui p. 801 s.), Gramsci critica
Bronstein (Trotzki) che "può ritenersi
il teorico politico dell’attacco frontale in un periodo in cui esso è solo
causa di disfatta", e pone l’essenziale distinzione fra guerra di
movimento o di manovra e guerra di posizione, quale quella che allora doveva
sostenere l’Unione Sovietica ed in cui (udite, udite!) "è necessaria una concentrazione inaudita dell’egemonia e quindi
una forma di governo più intervenzionista, che più apertamente prenda
l’offensiva contro gli oppositori e organizzi permanentemente l’impossibilità
di disgregazione interna: controlli d’ogni genere, politici, organizzativi,
ecc., rafforzamento delle posizioni egemoniche del gruppo dominante,
ecc.". La distinzione fra i due tipi di "guerra" viene
approfondita (p. 865 s.) con la famosa distinzione fra la situazione dell’oriente,
in cui "lo Stato era tutto, la
società civile era primordiale e gelatinosa" e l’occidente, ove "tra Stato e società civile c’era un
giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta
struttura della società civile", per rigettare ancora una volta le
teorie di Trotzki. Assai significativo (p. 1728 s.) è il passo riferito proprio
a Stalin (Giuseppe Bessarione), che trae spunto da un’intervista dello stesso
del settembre 1927, per rilevare "come
secondo la filosofia della prassi (cioè il marxismo, nota mia) sia nella formulazione del suo fondatore,
ma specialmente nella precisazione del suo più recente grande teorico (dunque,
si direbbe Stalin, al di cui scritto si fa riferimento, nota mia), la situazione internazionale debba essere
considerata nel suo aspetto nazionale". Si tratta proprio del rapporto
dialettico tra nazionale e internazionale che nella concezione di Stalin è
fondamentale: "Su questo punto mi
pare sia il dissidio fondamentale tra Leone Davidovici (Trotzki) e Bessarione
come interprete del movimento maggioritario…". Almeno in due occasioni
Gramsci spiega ed approva "la
liquidazione di Leone Davidovici" (p. 1744), come "liquidazione anche del parlamento ‘nero’ che sussisteva dopo
l’abolizione del parlamento ‘legale’ " in Unione Sovietica; e
soprattutto quando, analizzando in termini sintetici ma profondi le tendenze di
Trotzki, Gramsci rileva che la corrente che ha avversato quest’ultimo ha
applicato la formula giacobina non come "cosa
astratta, da gabinetto scientifico" bensì "in una forma aderente alla storia attuale, concreta, vivente,
adatta al tempo e al luogo, come scaturiente da tutti i pori della determinata
società che occorreva trasformare, come alleanza di due gruppi sociali, con
l’egemonia del gruppo urbano" (cioè quello che stava praticando
Stalin). E in via definitiva (p. 2164), quando Gramsci, sempre a proposito
della tendenza di Trotzki, rileva senza mezzi termini "la necessità inesorabile di stroncarla" (il passo è
attribuibile al 1934), secondo quanto appunto era avvenuto in Unione Sovietica.
Che dal pensiero dell’ultimo Gramsci risulti un distacco
rispetto a Stalin è dunque menzogna: Gramsci ne approvava anche i tratti che
oggi vengono qualificati "autoritari", "dittatoriali" e
peggio ancora. E nemmeno può dirsi, secondo l’ultimo rifugio della vulgata
revisionista, che "oggettivamente" l’impostazione gramsciana fosse
antitetica: differenze possono risultare dai contesti consapevolmente diversi
(occidente e oriente) e dalle diverse fasi e livelli di lotta in Unione
Sovietica e, in particolare, nell’Italia fascista, cui Gramsci non poteva non
pensare: ma Gramsci sarebbe stato il primo a farsi una grande risata se
qualcuno gli avesse prospettato di applicare all’Unione Sovietica di Stalin le
elaborazioni che egli faceva soprattutto per l’Italia di allora.
Ora, per tornare alla lettera, se l’ambiente familiare di
Gramsci si rivolgeva a Stalin sollecitandone (a torto o a ragione, non importa)
la tutela nei confronti degli italiani, addirittura se le due scriventi
ricordano che Gramsci raccomandava di condurre le trattative per la sua
liberazione per il tramite del partito sovietico senza nulla far trapelare agli
italiani, ciò vuol dire che il grande sardo aveva piena fiducia in Stalin e nel
suo partito, come autentiche espressioni del comunismo mondiale. Tutto il
contrario di quanto da molti anni ci è stato velenosamente propinato. I falsari
del revisionismo moderno, con la lettera ora pubblicata e le reazioni nel
complesso imbarazzate ed elusive che ha suscitato, sono serviti.
Quale il senso dell'operazione di Silvio Pons? Forse
liquidare completamente il comunismo storico italiano: Togliatti infido e
traditore, Gramsci non più l'"angelo" che ripudia il
"demone" Stalin. E così il gioco è fatto. Ma anche questo convalida
la nostra posizione: Stalin e Gramsci, due leaders entrambi impegnati sino
all'ultimo per il nostro grande ideale e per la difesa indefettibile di esso.