
al testo, «autorizzano a ipotizzare che la redazione sia stata compiuta in un breve lasso di tempo, forse nell’aprile 1935» (Francioni / Cospito 2009: 329-30). Con tutta probabilità costituisce l’ultimo quaderno avviato da Gramsci (e uno dei suoi ultimi scritti, fatta eccezione per alcune annotazioni del Quaderno 17) quando egli era in condizioni di salute già disperate: fu elaborato pochi mesi prima del suo trasferimento alla clinica Quisisana di Roma, dove egli non riuscì a riprendere in mano i suoi studi, e dove morì meno di due anni dopo.
Il contenuto del quaderno fu più volte annunciato da
Gramsci, anche se già in una lettera alla cognata Tania Schucht del dicembre
1927 egli ne parla lungamente, e con abbondanza di ironia, come di un progetto
lasciato cadere (vd. GSL: 161). L’argomento però ritorna nel piano di lavoro
scritto nel febbraio del 19292, ed è riecheggiato in una nota del quaderno 3,
la n. 74, dell’agosto 1930 (Q: 352). Un riferimento più opaco si può cogliere
ancora nel secondo piano di lavoro, risalente agli ultimi mesi del 1930, ma non
se ne ritrova traccia nel terzo piano di lavoro, scritto tra il febbraio e
l’aprile del 1932 3
Sotto il profilo filologico il quaderno presenta due
particolarità già da tempo segnalate dalla critica. Il dato più evidente è costituito
dal fatto che, contrariamente agli altri quaderni «speciali», dedicati cioè a un
único tema, non è composto da note presenti in prima stesura nei quaderni
miscellanei, ma è stato interamente elaborato in modo originale. Inoltre la
stesura del testo è preceduta da un espediente, che sembra funzionale alla
raccolta e a una messa a punto delle idee sull’argomento, estraneo al metodo di
lavoro seguìto da Gramsci in carcere: la fittissima e impietosa postillatura di
un volume, la Guida alla grammatica italiana di Alfredo Panzini (1932).
Il secondo elemento che ha colpito più volte i lettori è di
natura interna: alcune delle formulazioni usate da Gramsci in questo testo
sembrano far riferimento a quella prospettiva sincronica nello studio delle
lingue apertasi nella linguistica degli anni Venti, per impulso soprattutto della
scuola di Ginevra e del nascente strutturalismo americano. Il fatto può essere
motivo di sorpresa, tenendo conto che la cultura linguistica di Gramsci si è
formata per lo più alla scuola torinese tra il 1911 e il 1918: in una comunità
scientifica quindi in cui era ancora esclusivo il paradigma storico.