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Amadeo Bordiga ✆ A.d. |
necessarie.
Il Secondo congresso
del Pcd’I
Il dibattito con l'Internazionale e la polemica sul fronte
unico non è quindi un dissidio puramente teorico e astratto, ma avrà
conseguenze assolutamente pratiche. Il secondo congresso del Pcd'I, riunitosi a
Roma nel marzo del 1922, contiene la quintessenza del pensiero bordighiano, dal
rifiuto di ogni forma di collaborazione con la socialdemocracia all’opposizione
nella pratica alla formula del governo operaio; la tattica del fronte unico era
concepita solo sul versante sindacale: si può discutere con D’Aragona (leader
della Cgl) ma non con Turati. Dal punto di vista delle prospettive politiche,
il Pcd'I vede una fase socialdemocratica che si apre in Italia. La
socialdemocrazia riunirà tutti gli altri partiti in un governo di unità
nazionale. Tale prospettiva era condivisa dalla stragrande maggioranza del
gruppo dirigente del partito. Si leggano queste parole di Gramsci:
“Si svolgerà in Italia lo stesso processo che si è svolto in altri paesi capitalistici. Contro l’avanzata della classe operaia avverrà la coalizione di tutti gli elementi reazionari, dai fascisti ai popolari ai socialisti: i socialisti diventerà anzi l’avanguardia della reazione anti proletaria poichè conoscono meglio le debolezze della classe operaia.” (Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano. 1. Da Bordiga a Gramsci, pag 138).
Va dato atto, come ricorderà in seguito Trotskij, che
Gramsci fu l’unico che pensava fosse possibile la vittoria del fascismo in
Italia. Ma nel 1921-22 è convinzione sbagliata e settaria che guida la tattica
del partito comunista. Se la socialdemocrazia e il fascismo scenderanno a
patti, è chiaro che la politica di fronte unico, tanto più contro il fascismo,
può apparire inutile, anche a chi, a differenza di Bordiga, non considera la
non collaborazione con la socialdemocrazia una questione di principio. La terza
internazionale critica aspramente queste Tesi, in una lettera del Presidium al
Pcd’I, ispirata da Trotskij:
“Noi invitiamo il PCI a lottare per lo scioglimento della Camera allo scopo di instaurare un governo operaio. Fissando un programma minimo per le rivendicazioni da realizzare dal governo operaio, i comunisti devono dichiararsi pronti a formare un blocco col Partito socialdemocratico ed appoggiarlo, per quanto esso difende gli interessi della classe operaia. Se il PSI accetterà, incominceranno lotte, le quali saranno trasportate dal terreno parlamentare in altri campi. Con ciò è data la risposta all'obiezione che la parola d'ordine del governo operaio non significhi altro che una combinazione parlamentare. Se il PSI respinge la nostra proposta, allora le masse si persuaderanno che noi abbiamo mostrato loro una via concreta, che il PS invece non sa cosa fare .” (Lev Trotskij, Scritti sull’Italia, Edizioni Controcorrente, Roma 1979, pag 82)
Al congresso di Roma le voci contraddittorie saranno una
minoranza ben riconoscibile nella “destra” del partito, attorno a Tasca, che
manterrà un profilo ben definito in tutto il periodo che porterà fino al
congresso di Lione. Il gruppo dell'Ordine Nuovo è allineato e coperto sulle
posizioni espresse da Bordiga e dagli uomini a lui più vicini. Tali posizioni
esprimevano il sentimento prevalente nella base del partito, quello della
necessità di una rottura radicale dei rapporti non solo con le posizioni
moderate di turati,ma anche col massimalismo radicale di Serrati, che si era dimostrato
incapace di dirigere la classe operaia e aveva così aperto la strada al
fascismo. Questo settarismo aveva molti aspetti genuini: compito di una
direzione comunista sarebbe stato quello di educare la base del partito per
limitare e poi annullare queste pulsioni, non riattizzarle, come invece successe.
Le tesi di Roma non reggeranno alla prova degli avvenimenti.
L'ascesa del fascismo, con la marcia su Roma, confuterà la prospettiva del
gruppo dirigente, Già lo sviluppo di un movimiento antifascista come gli arditi
del Popolo, classico esempio di fronte unico dal basso, aveva delineato le
prime differenze post congresso di Livorno tra Bordiga e Gramsci.
“Sono i comunisti contrari al movimento degli Arditi del popolo? Tutt’altro. Essi aspirano all’armamento,alla creazione di una forza armata proletaria che sia in grado di sconfiggere la borghesia e di presidiare lo sviluppo e l’organizzazione delle nuove forze produttive generate dal capitalismo.” (Citato in Spriano, op. cit., pag.143)
Quale distanza dalla posizione ufficiale del comitato
esecutivo del partito!
“Non possiamo non deplorare che compagni comunisti si siano messi in comunicazione cogli iniziatori romani degli Arditi del popolo per offrire l'opera loro e chiedere istruzioni. Se ciò dovesse ripetersi, più severi provvedimenti verrebbero adottati. Il Comitato esecutivo del Partito Comunista d'Italia e quello della Federazione Giovanile Comunista d'Italia avvertono tutti i compagni e le organizzazioni comuniste che dev'essere rigorosamente diffidato chiunque di persona o per corrispondenza proponga costituzione o movimenti di reparti di Arditi del popolo.” (Inquadramento delle forze comuniste, da “La lotta del Partito comunista d’Italia, Ediz. L’internazionale, pag.21)
In questa vicenda si vede tutti i limiti del pensiero
dogmatico di Bordiga, per il quale le varianti tattiche verso la conquista
della maggioranza del proletariato semplicemente non esistono. Da qui la ragione
delle sue posizioni astensioniste e contro il fronte unico politico, ad
esempio. E, d’altra parte, per Bordiga non ci sono differenze sostanziali tra
la democrazia borghese e una dittatura bonapartista o fascista: ambedue erano
forme di dominio del capitale. Per Bordiga l'avanguardia del proletariato si
sarebbe convinta da sola delle giustezza delle idee comuniste ed avrebbe di
conseguenza aderito al partito. Basta solo aspettare e formare i quadri necessari
per essere preparati quando scatterà l'ora x della rivoluzione. Questa attesa
messianica, tuttavia, non ha nulla a che fare con il marxismo.
Inizia lo scontro
Ed è proprio sulla questione del fronte unico che vengono
alla luce le prime differenze tra Gramsci e Bordiga. Già nel quarto congresso
dell'Internazionale la linea del Pcd'I era stata sottoposta a dura critica da
parte dell'Internazionale, che richiedeva al gruppo dirigente italiano di
accettare la línea del congresso dell'Ic e di guidare il partito sulla base di
essa. In quell’occasione si produce il
primo diktat organizzativo nei confronti del Pcd’I, ad opera di Zinoviev:
nomina di autorità un Comitato esecutivo, dove tre membri sono della vecchia maggioranza (Fortichiari, Scoccimarro, Togliatti) e due della
destra (Tasca, Vota). Sarà la prima volta che si procede di autorità a nominare
da parte dell’Ic i dirigenti di una sezione nazionale passando sopra il parere
contrario dei designati stessi.
Fortichiari darà le dimissioni, seguendo il consiglio di
Bordiga, che si comincia a porre di fatto come opposizione a livello
internazionale. Gramsci convincerà prima Togliatti e poi Scoccimarro a restare
in carica, non seguendo la condotta della maggioranza del gruppo dirigente del
Pcd’I. Una differenziazione che si approfondirà alla fine del 1923, quando Bordiga,
dopo un breve periodo di detenzione nelle carceri italiane, sottopone un nuovo
testo contrario all’impianto della linea dell’Ic al resto della direzione del
Pcd'I. Gramsci si rifiuta di firmarlo, ponendosi come il punto di riferimento
di una nuova tendenza, di “centro” tra la destra di Tasca e la sinistra di
Bordiga. Sinistra che da quel momento non accetterà più incarichi esecutivi nel
partito.
Gramsci potrà, da quel momento, godere dell'appoggio
dell'Internazionale nella sua battaglia. Decisiva per la maturazione del
rivoluzionario sardo è il periodo di soggiorno a Mosca come rappresentante del
partito italiano. Durante la sua permanenza avrà possibilità di parlare a lungo
con i dirigenti dell'internazionale, e soprattutto con Trotskij. Viene convinto
della linea dell'Ic nei confronti dell'Italia, e soprattutto della necessità di
ritornare in Italia per dare battaglia all'interno del Pcd'I. Tuttavia, il
ritorno di Gramsci avviene subito dopo una repressione feroce da parte del
fascismo nei confronti del Pcd'I e coincide con l'ascesa della burocrazia
all'interno dell'apparato dello stato nell'Urss e nel partito bolscevico. La
lunga malattia di Lenin e la morte avvenuta nel gennaio del 1924 velocizza
questo processo.
La conseguenza pratica è rappresentata da una serie di
zig-zag nella linea política dell'internazionale, il cui fallimento più
clamoroso è la sconfitta della crisi rivoluzionaria apertasi in Germania
nell'ottobre 1923, dove i consigli sbagliati di Zinoniev e Stalin al Partito
comunista tedesco contribuiscono in maniera decisiva alla perdita di questa
importante occasione. (Per approfondire lo studio della rivoluzione tedesca del
1923, consigliamo la lettura di L.Trotskij, Le lezioni dell'Ottobre e di P.
Broue, La rivoluzione in Germania 1918-23 e V. Serge Germania 1923) Il Pcd'I è
preso particolarmente di mira dall'apparato dello stato e dal fascismo.
Quest'ultimo attua una vera e propria “battuta anticomunista”, per dirla con
Spriano. Il fascismo vuole assestare un colpo, nelle sue intenzioni definitivo,
all'avanguardia del proletariato ed impedire la fusione tra Pcd'I e Psi. Una
fusione che fallirà, anche per la scarsa disponibilità dei vertici dei due
partiti. Tra il febbraio e l'aprile del
1923 vengono arrestati quasi tutto il comitato centrale e 72 segretari federali.
Si calcolerà che il numero di emigrati dall'Italia per ragioni politiche
arriverà a oltre centomila. Tra questi, tantissimi comunisti, tanto che nella
relazione del Pcd'I al V congresso dell'Ic si stimerà che i comunisti attivi
non “sono 5-7000 al massimo”. Il tesseramento del 1923 supererà di poco i 9 mila
iscritti. Tutte le energie dei militanti sono volte a mantenere in vita il
partito, la direzione del partito è completamente allo sbando a causa degli
arresti. Ciò faciliterà gli interventi di Mosca volti a decidere direttamente i
vertici del partito italiano.
In questo contesto inizia lo scontro tra Gramsci e Bordiga.
In un partito così provato dalla repressione, l'idea di scontrarsi apertamente
anche con i vertici dell'internazionale comunista è una prospettiva da fare
tremare i polsi, soprattutto ad un gruppo dirigente così inesperto. Allo stesso
tempo, un numero crescente di quadri si dimostra insofferente per le rigidità
del comunista napoletano. Così a poco a poco un primo nucleo si raduna attorno
a Gramsci, proveniente prevalentemente dall'Ordine nuovo (Terracini, Togliatti)
ma anche da appartenenti al grupo originario di Bordiga (come Grieco, seppur in
un secondo momento).
La scelta di Gramsci di appoggiare la linea maggioritaria
nel partito russo e nell'Internazionale, non nasce da una condivisione politica
totale e convinta. Gramsci solidarizzerà sempre in maniera formale con la linea
di Stalin, tanto da attirarsi le critiche di Togliatti nella famosa
corrispondenza del 1926 tra i due. Tale scelta è frutto di un ragionamento di
“convenienza”: per conquistare la maggioranza in Italia era necessario godere
dell'appoggio di Mosca. Come spiegò il comunista sardo:
“Amadeo si pone dal punto di vista di una minoranza internazionale, noi dobbiamo porci dal punto di vista di una maggioranza nazionale.” (La formazione del gruppo dirigente del Pci, editori Riuniti, pag 197)
“Quale atteggiamento noi dobbiamo assumere politicamente? (...) Se prima del quinto congresso il partito è risanato dalla crisi, se esso ha un nucleo costitutivo e un centro che per la sua propia azione e non per i riflessi internazionali goda della fiducia delle masse italiane, noi potremo assumere anche il lusso di criticare. Attualmente mi pare ci convenga ancora louvoyer (tergiversare, in francese nel testo originale, ndr) per qualche tempo.” (op. cit. pag. 262)
Questo “opportunismo” porterà delle profonde, e negative,
conseguenze nella storia del Partito comunista nel nostro paese.
La conferenza di Como
Il gruppo attorno a Gramsci difende una linea più giusta, ma
è del tutto minoritario e si ritrova a causa delle circostanze e della volontà
di Mosca a dirigere il partito. I quadri intermedi del Pcd'I, quelli che
dirigono le federazioni, sono tutti o quasi con Bordiga. La riprova si avrà nella
conferenza straordinaria di Como, che si tiene nel giugno del 1924. Sono
presenti i segretari quelli interregionali e i membri del Comitato centrale. Ci
sono 3 documenti in discussione: uno della destra di Tasca, uno del “centro”
presentato da Gramsci ed uno della Sinistra firmato da Bordiga. Per Bordiga
voteranno 33 segretari di Federazioni su 45, 4 su 5 segretari interregionali,
il rappresentante della gioventù comunista e un membro del Cc. Tasca ottiene il
voto di cinque segretari federali, uno interregionale e 4 membri del Cc.
Gramsci quello di 4 segretari federali e 4 membri del Cc.
È un “Centro” delegittimato dal voto a guidare il partito. Dopo un simile risultato, Gramsci e i suoi non pensano affatto di mettersi in discussione, valutando che è impossibile governare un partito comunista senza una condivisione della linea da parte del corpo militante. Ma questo del resto è il metodo di costruzione dei gruppi dirigenti dettato dal segretario dell'Ic, e che sarà chiamato appunto “zinovievismo”. Si tratta del metodo di dirimere questioni politiche con metodi organizzativi. A lungo andare questo facilita lo sviluppo di una burocrazia all'interno del partito.
Il partito viene riorganizzato direttamente da Mosca, dopo
il V congresso dell'Internazionale il C.C. viene portato a 17 membri: 9 di
centro, 4 di destra e 4 terzini. Il Comitato esecutivo viene composto da cinque
membri, e il centro, con Gramsci, Togliatti e Scoccimarro, è maggioritario. La Sinistra
viene così completamente esclusa dagli organismi, sia esecutivi che di
direzione.
La formazione del nuovo gruppo dirigente del Pcd'I, che è
anche il nome di un famoso libro di Togliatti su questo periodo, avviene quindi
attraverso una serie di “forzature” organizzative che condizioneranno
pesantemente il futuro del partito.
L'opposizione attorno a Bordiga si organizza conseguente in
maniera sempre più chiara. Nasce nell'aprile del 1925 il Comitato d'Intesa per
collegare tutti gli elementi della corrente di sinistra. Il centro del Partito
va su tutte le furie e destituisce tutti i suoi membri dalle loro funzioni
dirigenti.
Fortichiari, tra gli altri, sarà rimosso da segretario della Federazione di Milano.
I dissensi coinvolgono praticamente tutti gli aspetti della
politica italiana e internazionale, non ultimo il dibattito scatenatosi in
Unione sovietica dopo la morte di Lenin.
Già alla conferenza di Como Gramsci aveva operato un
accostamento tra le opposizioni di Bordiga e di Trotskij. Le posizioni
diverranno ancor più divergenti quando Bordiga prenderà apertamente,min un
articolo intitolato la “quistione Trotskij” le difese del fondatore dell'Armata
Rossa. Un articolo scritto nel febbraio del 1925, bloccato per mesi dalla
direzione del partito e poi pubblicato solo nel luglio dello stesso anno, nel
pieno della campagna contro la sinistra.
Mentre in Gramsci notiamo un interesse nei confronti delle
questioni internazionali strumentale alla lotta politica interna, Bordiga fu
sicuramente fra i primi dirigenti comunisti al di fuori dell'Urss a comprendere
il pericolo di una degenerazione della rivoluzione, e a schierarvisi
apertamente contro. Bordiga capisce che l'attacco contro Trotskij scatenato
dalla nascente burocrazia sovietica non è che l'espressione più evidente della
degenerazione dell'Urss, che contagiava anche l'Internazionale., Su questo
terreno di lotta, il più importante per il movimento comunista mondiale in quel
momento, i due rivoluzionari diedero battaglia all'interno dell'Internazionale
e non mancarono gli incontri tra i due tra il 1924 e il 1926.
Questa battaglia comune non poteva tuttavia tramutarsi in
un'alleanza politica stabile. Troppe erano le distanze tra i bolscevico-leninisti
e l'estremismo dogmatico del bordighismo.
Il delitto Matteotti
Durante il Quinto congresso dell'Internazionale avviene
anche il delitto Matteotti. Il deputato del Psu (i riformisti di Turati) paga
la denuncia, fatta durante un discorso parlamentare dei brogli e delle
intimidazioni commesse dai fascisti nelle elezioni dell'aprile 1924, e viene
ammazzato da un gruppo di sicari del Fascio.
La commozione popolare sarà molto grande, inizia un periodo
di crisi del regime fascista, che durerà alcuni mesi. Il 14 giugno i deputati
dei partiti di opposizione decidono di non partecipare più ai lavori
parlamentari e formano il “Comitato delle opposizioni”. Inizia l'Aventino. A
questo blocco, composto tutte le opposizioni borghesi meno la destra di
Orlando, Salandra e Giolitti nonché da massimalisti e riformisti, parteciperà
in un primo momento anche il Partito comunista.
Il Comitato delle opposizioni è un movimento democratico
legalitario. Rifiuta la proposta comunista dello sciopero generale: a
destituire Mussolini devono essere il re e la magistratura. Il gruppo comunista
esce dal Comitato e quando il 27 giugno la Cgl indice un'astensione dal lavoro
di 10 minuti, i comunisti sono gli unici a incitare allo sciopero generale per
l'intera giornata.
Tuttavia, dopo l'uscita dal blocco dell'Aventino, il Pcd'I
assume una posizione incerta, con una parola d'ordine “Via il governo degli
assassini!” che non chiarisce quale governo si voglia sostituire a quello
fascista e tende la mano alle Opposizioni.
Bordiga sviluppa una critica parzialmente corretta: o si
entra nel comitato delle opposizioni o lo si combatte. Questa seconda ipotesi
mancava però di qualsiasi proposta rivolta ai partiti ai massimalisti e ai
riformisti, che, come dimostravano le elezioni di pochi mesi prima, avevano un seguito
importante fra la classe. Nelle elezioni politiche del 6 aprile (svoltesi con
una legge maggioritaria che favoriva in maniera scandalosa il partito
fascista), infatti il Psu aveva ottenuto 415 mila voti, i massimalisti 341 mila,
mentre i comunisti 268 mila. Un risultato lusinghiero che permette al partito
di eleggere 19 deputati.
Il 15 ottobre il Comitato centrale lancia la formula
dell'anti-parlamento, cioè di trasformare l'Aventino in un'assemblea
parlamentare delle opposizioni:
“Il partito comunista ritiene che la riunione dei gruppi parlamentari di Opposizione in un'assemblea convocata sulla base del regolamento parlamentare come Parlamento opposto al Parlamento fascista avrebbe invece un valore ben diverso dall'astensione passiva perchè allargherebbe la crisi e rimetterebbe in movimento le masse, condizione essenziale per una lotta efficace contro il fascismo. Esso invita quindi le opposizioni a convocare questa assemblea.” (Il partito decapitato, pag 149, Ediz. L'internazionale, Milano 1988)
La proposta fu naturalmente respinta da tutte gli altri
partiti. Lo slogan lanciato dal Pcd'I cercava di uscire dalla passività
dell'Aventino, ma lo faceva con una formulazione che apriva alla collaborazione
tra partiti rappresentanti classi diverse (e quindi anche ai repubblicani,
liberali, ecc) , che, se realizzata, non avrebbe fatto svanire le illusioni
delle masse nell'opzione democratica, né tantomeno avrebbe separato i
lavoratori che seguivano Psi e Psu dai propri dirigenti.
La sinistra del partito, pur ribadendo il suo astensionismo
di principio, ricorda che la linea della Terza internazionale è quella di
sfruttare la tribuna parlamentare in senso rivoluzionario. Il Pcd’I accetta
finalmente questa ipotesi e il 12 novembre Luigi Repossi pronuncia un terribile
atto d'accusa contro il fascismo.
Decisione che non sarà priva di ripercussioni:
l'Internazionale dapprima pone un divieto al ritorno in
parlamento poi chiede di inviare un solo deputato e un delegato presso il
Comitato delle opposizioni, il quale però rifiuta persino di ricevere Gramsci!
La tattica ondivaga del Comintern, caratteristica della
gestione Zinoviev, viene quindi applicata anche in Italia con scarsi risultati.
Il re non avrà alcuna intenzione di disfarsi di Mussolini e
l'esperienza dell'Aventino si consumerà miseramente. Mussolini, superato il
periodo di difficoltà, passa all'attacco. In un famoso discorso in parlamento
nel dicembre 1925 si assume tutte le responsabilità del delitto Matteotti ed
emana una serie di decreti, poi note come leggi fascistissime, che porteranno
in carcere centinaia di oppositori e cancelleranno definitivamente ogni libertà
democratica.
Il congresso di Lione
Proprio nei giorni della stretta autoritaria di Mussolini si
celebrerà il Terzo congresso del Pcd'I, a Lione tra il 21 e il 26 gennaio 2011.
Quattro anni sono passati dal congresso di Roma, e si vedono tutti. In primo
luogo, per le modalità di gestione e di voto del congresso. Si confrontano due documenti,
quello della Centrale (e che diverrà noto come le “Tesi di Lione”) e quello
della Sinistra bordighiana.
Il documento redatto da Gramsci otterrà oltre il 90% dei
voti, mentre la sinistra non avrà che il 9,2% dei consensi. Sembrerebbe quindi
che Gramsci abbia ribaltato totalmente i rapporti di forza di Como. Ma ciò è
vero solo parzialmente. Infatti, il conteggio dei voti ai congressi di base
viene fatto in maniera piuttosto bizzarra. Tutti gli iscritti che non votano
per la sinistra saranno conteggiati come voti per la centrale. I compagni che
impossibilitati a recarsi ai congressi e volessero votare per 0Bordiga possono
farlo per posta.
Un regolamento che serve a fare ottenere una solidissima
maggioranza all'esecutivo del Pdc'I e a completare il processo di
“bolscevizzazione” del partito, lo slogan con cui si era concluso il V congresso
del Comintern. La “bolscevizzazione” non consisteva però nell'approfondimento
degli insegnamenti politici della storia del Partito bolscevico sotto la guida
di Lenin, ma nell’omogeneizzazione delle pratiche e della linea politica ai
dettami del Comintern in via di burocratizzazione. Scrive Trotskij nella Terza
internazionale dopo Lenin: “La “bolscevizzazione” del 1924 aveva un carattere
assolutamente caricaturale. Si puntava la pistola alla tempia degli organismi
direttivi dei Pc esigendo che prendessero posizione sulle divergenze nel Pc
dell'Urss, si esigeva da loro che senza informazioni, senza dibattiti,
prendessero immediatamente e definitivamente posizione sulle divergenze
esistenti nel Pc dell’Urss. Con ciò essi sapevano anticipatamente che dalla
posizione assunta dipendeva se avrebbero potuto restare o no
nell’Internazionale comunista” (L. Trotskij, la Terza internazionale dopo
Lenin, Ediz. Samonà eSavelli. Pag. 160) Nelle tesi di Lione sono espressamente
vietate le frazioni:
“La centralizzazione e la compattezza del partito esigono che non esistano nel suo seno guppi organizzati i quali assumano carattere di frazione.(...) L'esistenza e la lotta di frazionisono infatti inconcepibili con la essenza del partito del proletariato, di cui spezzano l'unità aprendo la via alla influenza di altre classi” (Gramsci, Scritti politici, Terzo Volume, Editori riuniti, pag. 194).
Le tesiaggiungono che le tendenze sono possibili, ma non è
difficile paragonare queste parole a quelle usate da Stalin nei confronti
dell'Opposizione di sinistra nel Pcus. In un contesto di lotta di frazione nel
Pcd'I, queste parole equivalevano a una minaccia di espulsione (che più tardi,
infatti, si concretizzò) da parte della maggioranza. Minaccia che era anche
esplicitata:
“L'estremismo di sinistra (...) deve essere combattuto come tale, non solo con la propaganda, ma con una azione politica ed eventualmente con misure organizzative.” (op. cit. pag.291)
La contrapposizione tra cellule di fabbrica e organizzazione
territoriale, imposta dalla bolscevizzazione aveva ben poco a che fare con il
metodo bolscevico, perchè implicava un modelo rigido e precostituito
dell'organizzazione e favorisce oggettivamente un controllo maggiore da parte dell'apparato.
Le tesi di Lione vivono della contraddizione in cui si
dibatteva il gruppo dirigente del Pcd'I. Da una parte sono la concretizzazione
della lotta per l'applicazione delle risoluzioni del Terzo e del Quarto congresso
dell'Ic, in special modo sulla tattica. Dall'altra risentono del nuovo corso dell'Internazionale,
soprattutto dal punto di vista organizzativo e difendono le scelte politiche
errate nel paese, portate avanti dalla crisi Matteotti in poi. Le tesi
accolgono pienamente l'insegnamento della rivoluzione russa, quando affermano:
“Il capitalismo è l’elemento predominante nella società italiana e la forza che prevale neldeterminare lo sviluppo di essa. Da questo dato fondamentale deriva la conseguenza che non existe in Italia possibilità di una rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista. (op. cit. pag 272), escludendo quindi la necessità di una fase democratica guidata dalla borghesia, in aperto contrasto con la linea togliattiana che si svilupperà dal '43 in avanti.
E poi:
“Si ha inoltre in Italia una conferma della tesi che le più favorevoli condizioni per la rivoluzione proletaria non si hanno necessariamente sempre nei paesi dove il capitalismo e l’industrialismo sono giunti al più alto grado del loro sviluppo, ma si possono invece aver là dove il tessuto del sistema capitalistico offre minori resistenze, per le sue debolezze di struttura, a un attacco della classe rivoluzionaria e dei suoi alleati.” ( op. cit. pag.275)
Il ruolo del proletariato come protagonista della
rivoluzione italiana è ribadito con forza:
“Il proletariato si presenta come l’unico elemento che per la sua natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice di tutta la società. Il suo programma di classe è il solo programa "unitario"” (op. cit. pag. 279)
Le Tesi di Lione portano per la prima volta all'interno di
un documento congressuale del Pcd'I la tattica del fronte unico, come
sviluoppata nel III e IV congresso dell'Ic:
“La tattica del fronte unico come azione politica (manovra) destinata a smascherare partiti e gruppi sedicenti proletari e rivoluzionari aventi una base di massa, è strettamente collegata col problema della direzione delle masse da parte del Partito comunista e col problema della conquista della maggioranza. (...) In Italia la tattica del fronte unico deve continuare ad essere adottata dal partito nella misura in cui esso è ancora lontano dall’aver conquistato una influenza decisiva sulla maggioranza della classe operaia e della popolazione lavoratrice.” (op. cit. pag.303)
Inoltre il Partito opera una rettifica contro lo schematismo
bordighiano:
“Il partito combatte la concezione secondo la quale ci si dovrebbe astenere dall’appoggiare o dal prendere parte ad azioni parziali perché i problemi interessanti la classe lavoratrice sono risolubili solo con l’abbattimento del regime capitalista e con una azione generale di tutte le forze anticapitalistiche.” (pag.299)
Allo stesso tempo queste corrette analisi teoriche non danno
luogo ad altrettanto efficaci parole d'ordine, quando si punta sullo slogan
dell' “Assemblea repubblicana sulla base
dei comitati operai e contadini”, “formula riassuntiva di tutta l’azione del
partito in quanto essa propone di creare un fronte unico organizzato della
classe lavoratrice ” (op. cit. pag.302)
Formula criticata chiaramente da Trotskij, sia nella
corrispondenza con il gruppo bordighiano “Prometeo” che con Tresso, Leonetti e
Ravazzoli “A proposito, non è Ercoli che tenta di adattare all'Italia l'idea
della “dittatura democratica del proletariato e dei contadini”sotto forma di
una parola d'ordine d'assemblea costituente appoggiantesi su “un'assemblea
operaia e contadina”?” (Scritti sull'Italia, pag. 149,)
E ancora:
“Voi mi ricordate che ho criticato a suo temo la formula "Assemblea repubblicana sulla base deiComitati operai e contadini", formula lanciata a suo tempo dal Partito comunista italiano. Voi mi dite che questa formula non aveva avuto che un valore del tutto episodico e che attualmente è stata abbandonata. Voglio tuttavia dirvi perché reputo questa formula come sbagliata o almeno equivoca in quanto formula politica. L'"Assemblea repubblicana" costituisce innegabilmente un organismo dello Stato borghese. Che cosa sono invece i "Comitati operai e contadini"? è evidente che in qualche modo sono un equivalente dei Soviet operai e contadini. Allora bisogna dirlo. In quanto organismi di classe delle masse povere operaie e contadine -sia che voi li chiamate Soviet o Comitati- costituiscono sempre delle organizzazioni di lotta contro lo Stato borghese per diventare poi organismi insurrezionali e trasformarli, infine, dopo la vittoria, in organismi di dittatura proletaria. Come è possibile in queste condizioni, che un'Assemblea repubblicana -organo supremo dello Stato borghese- abbia come base degli organismi di Stato proletario? ” (Scritti sull’Italia, pag. 184)
La tragedia principale del Congresso di Lione sta dunque
nell'approdo a delle posizioni che riprendono i tratti essenziali della linea
approvata nei primi quattro congressi dell'Internazionale, in un momento
“sbagliato”. Una linea politica che avrebbe reso l'ascesa del fascismo un fatto
per nulla scontato e permesso la riorganizzazione del proletariato italiano. Un
momento “sbagliato” perchè coincide con la degenerazione burocratica della
Terza internazionale, che avrebbe inevitabilmente segnato il futuro del Pcd'I.
Dal punto di vista degli equilibri interni, il Congresso di
Lione sancirà la definitiva sconfitta della sinistra bordighiana.
Nell’Esecutivo allargato dell’Ic del febbraio del 1926, Bordiga subirà a
livello internazionale la stessa sorte. Il Pcd’I stesso, d’altro canto, subirà
una nuova stretta repressiva che nell’arco del 1926 porterà in carcere buona
parte del gruppo dirigente, tra cui lo stesso Gramsci, che non vedrà più la
libertà.
Le raccomandazioni di Trotskij e dell’opposizione di
sinistra saranno colte da un altro gruppo di compagni del gruppo dirigente del
Pcd’I, Tresso, Ravazzoli e Leonetti, qualche anno dopo. Ma tutto ciò lo
affronteremo in un prossimo seminario.