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Gianni Fresu | L’uscita dell’edizione anastatica dei
Quaderni è una tappa fondamentale del lungo lavoro scientifico attorno
all’opera, realizzata tra il febbraio del 1929 e il 1935 da Antonio Gramsci,
compiuto con rigore e dedizione da più generazioni di studiosi avvicendatisi
dal dopoguerra fino a oggi: Felice Platone, Valentino Gerratana, Gianni
Francioni.
La prima edizione tematica Platone-Togliatti realizzata tra
1948 e il ’51 e costituì una delle più importanti operazioni culturali di tutto
il dopoguerra, i Quaderni furono un’autentica rivelazione per tutta
la politica e la cultura nel nostro Paese, a prescindere dalla collocazione
ideologica. Oggi in tanti hanno da ridire sull’arbitrarietà del riordino
tematico di questa edizione, Lo Piparo ci vede addirittura la prova della
malafede di un Togliatti tutto intento censurare Gramsci, in realtà, almeno io
la penso così, si trattò di un’operazione estremamente intelligenete che
consentì un approccio graduale a un’opera tanto complessa, favorendone la
circolazione. Personalmente ritengo che, ancora oggi, quest’edizione sia la più
appropriata per chi intenda avvicinarsi la prima volta ai Quaderni senza
restare travolto dalla struttura frammentaria di questi.
Il secondo passaggio fu l’edizione critica curata da
Valentino Gerratana nel 1975, che segna la maturità degli studi gramsciani e il
tentativo di pubblicare i quaderni secondo l’ordine di realizzazione seguito
dall’autore.
Per quanto riguarda l’edizione anastatica curata da Gianni
Francioni, che riproduce non solo in maniera fedele la successione cronologica
dei Quaderni, ma anche i manoscritti originali comprensivi di tutte le loro
parti, copertine incluse, essa è stata realizzata nel 2009 dal gruppo
editoriale «L’Unione Sarda» e dall’Istituto Treccani, su proposta della Fondazione
Siotto e con l’indispensabile sostegno della Fondazione Gramsci. Un esempio
assai importante di sinergia tra realtà diverse, in anni di ristrettezze
finanziarie a sostegno delle operazioni culturali, che ha anticipato la nuova
edizione nazionale dei Quaderni in corso di realizzazione, consentendo a tutti
di possedere a un prezzo modico un’opera curata in ogni dettaglio, sia sul
versante scientifico, sia su quello della fattura tipografico-editoriale.
L’idea stessa di associare l’uscita settimanale dei singoli
volumi a un quotidiano di larga tiratura (seppur regionale), quindi la loro
disponibilità in tutte le edicole è stata una felice iniziativa di promozione
culturale che ha consentito all’opera di varcare la soglia degli ambienti
riservati agli addetti ai lavori.
L’Edizione anastatica è un passaggio decisivo di questo
lungo lavoro, sviluppato nel corso dei decenni, teso in primo luogo a favorire
la conoscenza e la diffusione dell’opera gramsciana, quindi a rispettarne il
rigore filologico. Essa è stata realizzata seguendo il più fedelmente possibile
la cronologia dei quaderni e il ritmo di sviluppo degli studi e delle
riflessioni realizzate da Gramsci.
Quest’ultima edizione, oltre a dare a tutti l’opportunità di
misurarsi con la più fedele riproduzione dei Quaderni, dunque con la stessa
grafia minuta «tonda e regolare» di Antonio Gramsci, costituisce uno strumento
indispensabile per chi intenda realizzare uno studio scientifico sulle sue
riflessioni..
La chiarezza della grafia, farebbe presupporre una lettura
piana dei manoscritti, non è così, essa è resa complessa dal metodo di lavoro
di Gramsci, ossia dalla sua tendenza a lavorare contemporaneamente su più
quaderni, affrontando argomenti estremamente diversificati, sebbene logicamente
concatenati, attraverso note in alcuni casi sintetiche, quasi dei promemoria,
in altri estese ed approfondite, magari ulteriormente sviluppate e poste in
connessione con altri plessi tematici in parti o quaderni successivi. Proprio
questa struttura frammentaria, che nella lettura spinge naturalmente a seguire
l’affinità tematica degli argomenti, rende arduo il proposito di rispettare
l’effettiva cronologia del testo. Per questo l’apparato di note e gli studi
realizzati attorno a quest’opera rappresentano una fondamentale bussola di
orientamento per non perdersi nel Mare magnum di un’opera tanto
complessa.
Nell’edizione anastatica trovano finalmente la loro giusta
collocazione le traduzioni delle novelle dei fratelli Grimm curate da Gramsci
agli inizi della sua carcerazione, una fase segnata da enormi difficoltà di
concentrazione e avvio del piano di lavoro. Era infatti impossibile un rapporto
dialogico con altri soggetti, necessario ad evitare un lavoro troppo
autoriflessivo; era difficilissimo ottenere i mezzi per studiare con continuità
e scrivere secondo un ordine razionale.
Lo sconforto conseguente alle prime disordinate letture gli
fanno dubitare sulle reali possibilità di riuscita del progetto. Così in una
lettera a Tania, il 23 maggio 1927, annunciava di volersi dedicare a due
attività con scopo terapeutico come gli esercizi ginnici e le traduzioni dalle
lingue straniere:
Un vero e proprio studio credo mi sia impossibile, per tante ragioni non solo psicologiche ma anche tecniche; mi è molto difficile abbandonarmi completamente a un argomento o a una materia e sprofondarmi solo in essa, proprio come si fa quando si studia sul serio, in modo da cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli armonicamente. Qualche cosa in tal senso forse incomincia ad avvenire per lo studio delle lingue, (…) ora leggo le novelline dei fratelli Grimm. Sono proprio deciso a fare dello studio delle lingue la mia occupazione predominante.
Al di là dell’aspetto “terapeutico”, queste traduzioni sono
importanti anche sul piano biografico. In una lettera alla sorella Teresina del
18 gennaio 1932, Gramsci scriveva di voler dare un suo piccolo contributo allo
sviluppo della fantasia dei nipoti ricopiando e spedendo loro le traduzioni dei
fratelli Grimm:
una serie di novelline popolari proprio come quelle che ci piacevano tanto quando eravamo bambini. Sono un po’ all’antica, alla paesana, ma la vita moderna, con la radio, l’aeroplano, il cine parlato, Carnera, ecc. non è ancora penetrato abbastanza a Ghilarza perché il gusto dei bambini d’ora sia molto diverso dal nostro di allora.
Pur provenendo dalla tradizione tedesca, le novelle,
ambientate in boschi fitti e tenebrosi popolati di spiriti, streghe e folletti,
non erano distanti dalla tradizione orale della fantasia popolare sarda e
sembravano plasmarsi perfettamente sull’atmosfera della sua terra e del suo
paese, un luogo, sono parole di Gramsci, «dove esisteranno sempre tipi
all’antica come tia Adelina e Corroncu e le novelle avranno sempre un ambiente
adatto». Il mondo di quelle fiabe gli riportava a memoria le scorribande
d’infanzia nelle vallate tra Ghilarza e Abbasanta, quando, suggestionato dalle
letture d’avventura, non usciva mai di casa senza avere in tasca chicchi di
grano e fiammiferi avvolti nella tela cerata, nella malaugurata eventualità di
finire in un’isola deserta. Queste traduzioni, rimasero escluse dalla
pubblicazione delle precedenti edizioni dei Quaderni. La presente edizione ha
il merito filologico di restituirle alla loro collocazione originaria, fornendo
un quadro più esaustivo allo studio completo dell’opera.
L’interesse di Gramsci per la linguistica risale ai
tormentati anni dello studio universitario nella grande Torino, resi difficili
da salute cagionevole e disponibilità economiche che rasentavano la miseria più
assoluta. Il giovane sardo attirò subito l’attenzione di uno dei più importanti
studiosi di glottologia del tempo, Matteo Bartoli, e intensificò i rapporti con
il docente di letteratura Umberto Cosmo, in passato professore al Liceo Dettori
di Cagliari. Bartoli in particolare lo incoraggiò nello studio della
linguistica sarda. Così non è inusuale trovare lettere ai familiari riguardanti
questo tema. In una destinata al padre del 3 gennaio 1912 chiedeva quando nel
dialetto fonnese la s «si pronuncia dolce, come in italiano rosa» e
«quando dura, come sole», in altre destinate alla sorella chiedeva di
informarsi circa alcune peculiarità del logudorese e del campidanese, su
termini, pronunce, varianti. Non è dunque un caso se nei Quaderni tanta
attenzione sia dedicata alla glottologia e in generale alla linguistica. Dopo
anni di militanza e un’intensa attività teorico-politica, le traduzioni di
queste prime note dal carcere avevano un valore propedeutico, oltre che
terapeutico, necessarie all’inizio di un lavoro «disinteressato» rispetto al
quale le condizioni ambientali non aiutavano. È ancora una lettera a Tania del
15 settembre 1930, nella quale considerazioni personali e di studio si
mischiano, ad accennarlo:
sarà perché tutta la mia formazione intellettuale è stata di ordine polemico; anche il pensare disinteressatamente mi è difficile, cioè lo studio per lo studio. Solo qualche volta, ma di rado, mi capita di dimenticarmi in un determinato ordine di riflessioni e di trovare per dir così, nelle cose in sé l’interesse per dedicarmi alla loro analisi. Ordinariamente mi è necessario pormi da un punto di vista dialogico o dialettico, altrimenti non sento alcuno stimolo intellettuale
Al di là di questa valutazione autocritica, tratto
caratteristico della personalità di Gramsci, le traduzioni e gli studi di
linguistica sono condotti con assoluto rigore filologico, curiosità
intellettuale e un metodo oggi analizzato con grande attenzione dagli
specialisti della materia. Nel comunicare in una lettera la volontà di
dedicarsi ad uno studio sistematico della linguistica comparata, egli
confessò alla cognata Tania che uno dei suoi maggiori rimorsi intellettuali era
«il dolore procurato al buon professor Bartoli dell’Università di Torino»,
ma gli avvenimenti del «mondo grande, terribile e complicato», che
precedettero e seguirono la guerra, avevano spinto il giovane intellettuale
sardo, come tanti della sua generazione, a trovare nell’impegno politico una
nuova ragione di esistenza per la quale valeva la pena di rischiare tutto, compresa
la vita.
Il terzo Quaderno di traduzioni, oltre a proseguire lo
studio sui ceppi linguistici di Franz Nikolaus Finck, contiene le traduzioni
delle Conversazioni con Goethe di Eckermann. LeConversazioni raccolgono
le memorie del grande poeta e scrittore tedesco attraverso i colloqui con il
suo segretario Joahn Peter Eckermann. Goethe è stato definito un genio
universale per la versatilità del suo estro manifestatosi in diversi campi del
sapere, poesia, letteratura, scienza, filosofia. Eckermann tramite i ricordi ne
ricostruisce l’universo ideale, il mondo e i valori, fino a tratteggiare un
affresco biografico ritenuto uno dei più grandi patrimoni della letteratura
occidentale, tanto da essere definito da Niezstche «il miglior libro tedesco
mai scritto». Goethe è una figura sistematicamente presente nei Quaderni come
nelle lettere. Per Gramsci ogni nazione ha un letterato che ne riassume in
qualche modo la gloria intellettuale, Shakespeare per l’Inghilterra, Cervantes
per la Spagna, Dante per l’Italia, Goethe per la Germania. Tuttavia solo
Shakespeare e Goethe possono ritenersi figure intellettuali operanti anche
nell’età contemporanea, autori attuali, per la loro capacità «d’insegnare come
dei filosofi quello che dobbiamo credere, come poeti quello che dobbiamo
intuire (sentire), come uomini quello che dobbiamo fare». In Goethe Gramsci
intravede una forza politico-culturale capace di varcare il suo tempo e imporsi
al presente: «solo Goethe è sempre di una certa attualità, perché egli esprime
in forma serena e classica ciò che nel Leopardi è ancora torbido romanticismo»,
rappresenta la fiducia nell’attività creatrice dell’uomo in una natura vista
non come nemica e antagonista.
La lettura delle Conversazioni con Goethe nella
condizione di detenzione accomuna l’esperienza di Gramsci con quella di un
grande critico letterario francese vissuto negli stessi anni, Jacques Rivière.
Nel Quaderno I Gramsci riporta alcuni stralci delleImpressioni di prigionia,
scritte dallo storico editore della «Nouvelle Revue Française» e pubblicate nel
1928, tre anni dopo la sua morte. In esse Rivière raccontava le vessazioni
subite durante la prigionia nella prima guerra mondiale, in particolare
l’umiliazione patita nel corso di una perquisizione nella sua cella, quando
vennero sequestrate le sue poche cose e soprattutto l’unico libro che aveva con
sé, appunto le Conversazioni con Goethe. Gramsci ha trascritto le
sensazioni di disperazione e angoscia del francese per lo stato brutale e
incerto di una prigionia, vissuta come un’ineliminabile «stretta al cuore»,
nella quale si è costantemente esposti a ogni tipo di angheria e la condizione
di oppressione fisica e psichica diviene insopportabile. Un’angoscia,
testimoniata da tutto il carteggio delle lettere, condivisa dall’intellettuale sardo
che non a caso concluse queste note scrivendo del pianto in carcere «quando
l’idea della morte si presenta per la prima volta e si diventa vecchi
d’un colpo».
In una famosa lettera scritta alla cognata Tania Schucht il
19 marzo 1927 dal carcere di Milano, Gramsci avanzava l’esigenza di dedicarsi
ad un lavoro di ricerca «disinteressato» capace di occuparlo intensamente.
Questo brano costituisce un ponte tra l’analisi sulla Questione
meridionale e quella dei Quaderni ed è la prima esposizione del
piano di lavoro ipotizzato per gli anni di detenzione. Già nel primo Quaderno, il
tema dei rapporti tra Settentrione e Meridione è indagato con una
prospettiva storica che comprende le dinamiche del Risorgimento italiano e la
funzione politica degli intellettuali. Per Gramsci l’Unità si è realizzata
attraverso una relazione squilibrata dove l’arricchimento e l’incremento
industriale del Nord dipendevano dall’impoverimento del Mezzogiorno. Egli parla
di uno sfruttamento semicoloniale occultato da tutta una letteratura che
spiegava l’arretratezza del Sud con l’incapacità organica, l’inferiorità
biologica, la barbarie congenita dell’uomo meridionale. Un Meridione liberato
dal giogo borbonico, ritenuto fertile e ricco di risorse naturali, e ciò
nonostante incapace di emanciparsi dalla miseria e dall’arretratezza per
ragioni tutte interne al Meridione stesso. Un Sud «palla al piede» che impediva
al Nord un più rapido progresso verso la modernità industriale e la ricchezza
economica. Nel Quaderno uno è analizzato un tema organico all’intera opera, la
debolezza delle classi dirigenti italiane: l’arresto dello sviluppo della
civiltà comunale e la mancata formazione di uno Stato unitario moderno, i
limiti del Risorgimento e l’assenza di una compiuta dialettica parlamentare in
età liberale, il fenomeno del trasformismo. Il Risorgimento, tuttavia, è lo
snodo analizzato maggiormente nel primo Quaderno, a iniziare dal fallimento
delle prospettive democratiche del partito di Mazzini e dalla capacità
egemonica dei Moderati di Cavour, i veri protagonisti dell’unificazione
nazionale per l’intellettuale sardo. Il problema tutto italiano del
«trasformismo» non era per Gramsci semplicemente un fenomeno di malcostume
politico, bensì un preciso processo di cooptazione con il quale, dal Risorgimento
in poi, si è ottenuto un consolidamento del potere politico attraverso la
decapitazione e l’assorbimento dei gruppi avversi allo Stato. L’importanza di
queste analisi, che tratteggiano i termini essenziali di una “biografia
nazionale”, è notevole sia per la storia che per la scienza politica e in esse
sono contenute alcune tendenze che ciclicamente ricorrono nella vita politica
italiana, specie nelle sue fasi di crisi. Ma l’originalità di tale analisi
risiede nel comprendere che ogni sistema di potere si regge non solo sull’uso
della forza ma anche sul consenso, sulla capacità di formare sul piano
culturale e sociale ciò che comunemente viene definito “opinione pubblica”: la
funzione essenziale degli intellettuali in una società moderna, il grande tema
della società civile come articolazione organica di ciò che genericamente si
intende per Stato.
Come accennato, nel carcere di Turi l’8 febbraio 1929, più
di due anni dopo l’arresto, avvenuto l’8 novembre del 1926, Gramsci aveva
iniziato la stesura dei Quaderni. In carcere lo studio è un metodo di
resistenza all’abbruttimento intellettuale, strumento di sopravvivenza sia
fisica che politica. Come ha scritto Valentino Gerratana, dalla tensione tra
queste due esigenze prendono forma i Quaderni, un lavoro composto di
appunti e riflessioni destinati ad ulteriore definizione, eppure di
straordinaria ricchezza, tanto da essere ritenuto irrinunciabile per tanti
ambiti scientifici molto diversi tra loro. Dalla critica letteraria alla
linguistica, dalla storia alla scienza politica, dalla pedagogia al teatro.
Un’opera che attualmente è oggetto di studi universitari approfonditi negli
USA, in Inghilterra, Giappone, India, Brasile e Messico più di quanto non lo
sia in Italia. Nei Quaderni emerge il rigore politico e insieme la
spietata concretezza, con i quali l’intellettuale sardo fa i conti con il
crollo del sistema liberale in Italia e con esso il travolgimento del movimento
operaio e del proprio campo politico. Un dramma storico che spinge Gramsci ad
un’indagine priva di indulgenze sui limiti, gli errori, le astrattezze
dell’intero fronte oppostosi a Mussolini. Ma l’indagine non si ferma al
contingente dato politico. Gramsci si interroga problematicamente sulla
totalità e organicità dei processi storici, sui limiti congeniti dell’intera
vita politica italiana, sulla continuità dei suoi vizi, senza tentare di
assolvere o fare sconti al suo stesso orientamento politico-ideologico. Proprio
questa problematicità ha spinto Gramsci ad evitare qualsiasi lettura storiografica
e politica semplificante. Il fascismo costituiva la negazione più completa dei
suoi valori e delle sue prospettive politiche, ciò nonostante l’intellettuale
sardo lo analizza come fenomeno razionale e reale, scaturito da precise cause,
storicamente determinate, in continuità con la storia delle sue classi
dirigenti. Il fascismo ha per Gramsci radici profonde nella storia d’Italia e
per molti versi il piano di lavoro dei Quaderni del carcere costituisce
un tentativo d’indagine per andare al fondo di quelle radici. Da questa
esigenza prende corpo un’opera assai vasta che passa sotto una lente
d’ingrandimento mai banale i fatti degli uomini e delle idee, esposti con una
prosa attenta e tagliente che spesso non disdegna di cogliere il lato ironico
delle cose. Il carattere tutt’altro che dogmatico dell’opera di Gramsci, gli ha
permesso di sfuggire alle rigide classificazioni, di andare oltre la crisi e il
crollo del suo stesso campo politico-ideologico, di varcare il limite temporale
e politico del Novecento. I Quaderni del carcere sono uno strumento
chiave per leggere anche l’attualità, costituiscono ancora oggi una bussola
fondamentale per orientarsi nelle contraddizioni della modernità, e non è certo
un caso se gli studi in suo onore abbiano, oggi più di ieri, un posto di
assoluto rilievo a livello internazionale tra i grandi pensatori della storia
dell’umanità.
L’edizione anastatica ha il merito di renderci i Quaderni
così come sono, senza mediazioni o dubbi sulla natura arbitraria delle scelte
operate dal curatore di turno, da a ognuno un privilegio fino a oggi riservato
a pochissimi studiosi, quello di leggere Gramsci seguendo, non solo la natura
magmatica dei suoi ragionamenti, ma anche la sua originale traduzione grafica.
Conoscendo e seguendo le sue vicende biografiche, nei tormentati anni passati
in carcere si può quasi immaginare lo stato d’animo dell’autore attraverso il
ritmo delle sue riflessioni e il tratto della sua mano. Per tutte queste
ragioni, la realizzazione di questa edizione rappresenta una pietra miliare
nella storia delle ricerche su Antonio Gramsci e più in generale nella storia
culturale del nostro Paese. Per una volta, possiamo dirlo con orgoglio, un
progetto tanto importante è stato realizzato in Sardegna.