Derek Boothman | Lo
scopo dell’articolo è quello di tracciare a grandi linee i processi che hanno
portato nel mondo anglofono, e in particolare in Gran Bretagna, l’opera di
Antonio Gramsci. La diffusione del suo pensiero si basa principalmente sulle
traduzioni dei Quaderni dal carcere e delle Lettere del carcere, la cui
ricezione avviene però in presenza di un contesto definito da, ad esempio, note
di copertina e recensioni e articoli sull’argomento del testo tradotto o sul
suo autore. L’articolo presta particolare attenzione alle prime traduzioni di
Gramsci in inglese, ormai semi-dimenticate, e le recensioni in inglese delle
prime opere pubblicate in Italia, e discute come crebbe la reputazione di
comunista “poco ortodosso” di cui era tacciato Gramsci prima ancora che le sue
opere venissero tradotte nel mondo anglosassone. Si passa poi a esaminare i
primi volumi corposi delle sue opere pubblicati in traduzione inglese, sotto la
spinta dell’interesse per Gramsci di un gruppi di storici del Partito Comunista
inglese.
Negli anni 1960 cresce la fama di Gramsci come autore di primissimo
piano e l’interesse per Gramsci esplode negli anni 1970, che videro anche il
successo di un’opera teatrale basata sui testi dell’autore sardo. Nel 1971 fu pubblicato Selections
from Prison Notebooks, fondamentale nell’introduzione e nell’applicazione dei
concetti gramsciani alle società non solo anglofone. A questa
traduzione, che, attraverso l’introduzione di termini gramsciani, ha innovato
il linguaggio politico inglese nonché la cultura dei Paesi anglofoni, sono poi
seguite traduzioni delle Lettere del carcere, di parti dei Quaderni dal carcere
e di altri scritti precarcerari. Le diverse traduzioni sono commentate, e sono
segnalate alcune correzioni da apportare eventualmente a un’edizione definitiva.
Gli scritti di Gramsci hanno avuto un importante effetto non solo sulla
politica e sul mondo intellettuale anglofono, ma anche sugli studi culturali e
linguistici, influenzando autori come Stuart Hall e Raymond Williams. Vengono
infine esaminate le più recenti traduzioni di Gramsci a partire dagli anni
1980. In particolare, vengono proposte ed elencate in un’appendice delle
modifiche da apportare a una seconda edizione del testi Further Selections from
the Prison Notebooks, tradotto dall’autore del presente articolo.
1. Introduzione
Lo scopo del presente articolo è quello di provare a
tracciare a grandi linee i processi che hanno portato nel mondo anglofono
l’opera scritta nelle carceri italiane da un prigioniero dal nome pressoché
sconosciuto[1].
L’influenza è stata tale che un non-gramsciano statunitense ha recentemente
espresso il parere che il suo lavoro “a partire dagli anni Sessanta … divenne
enormemente influente nella vita intellettuale americana” (scil. statunitense)[2]
mentre l’autore di un autorevole articolo su Gramsci uscito alla fine degli
anni Ottanta ha asserito che “dopo l’Italia, e più che in tutte le altre parti
del mondo è in Gran Bretagna che le opere di Gramsci hanno esercitato
un’influenza prolungata, profonda e diversificata”[3].
Infatti, ormai ci sono quasi 3000 pubblicazioni su Gramsci in lingua inglese,
il 19% del totale di oltre14.500 opere di diversi tipi in trentaquattro lingue[4];
saranno presto disponibili in database interrogabile i dettagli bibliografici
su tutte queste pubblicazioni, offrendo così strumenti aggiornati per la
ricerca in generale e anche per una rassegna del tipo presentato in questo
articolo. Non è intenzione di chi scrive costruire un “canone” di
interpretazione, o meglio di interpretazioni gramsciane ma semplicemente
indicare una gamma di pubblicazioni e di autori, diversi tra di loro[5],
che hanno aiutato a preparare il terreno per poi diffondere le nozioni di
Gramsci nei Paesi anglofoni. È evidente a chi si occupa di Gramsci che, dopo la
prima pubblicazione in italiano delle Lettere dal carcere e dei Quaderni del
carcere, sarebbe occorso parecchio tempo perfino per iniziare la loro
pubblicazione in inglese e, in questo saggio, si presta particolare attenzione
ai lavori pazienti e generalmente non noti al pubblico che hanno rivestito un
ruolo tutt’altro che trascurabile nel rendere possibile l’esplosione di
interesse per Gramsci che ha caratterizzato la sinistra anglofona, in
particolare negli anni Settanta. La diffusione del suo pensiero ha avuto
origine soprattutto grazie alle traduzioni dei Quaderni e delle Lettere ma le
traduzioni non esistono mai nel vuoto: c’è sempre un pubblico che deve essere
preparato almeno dalle note nella copertina di un libro, spesso dalle
recensioni e talvolta dagli articoli sull’argomento del testo tradotto o sul
suo autore. Tale fattore sembra molto marcato nel caso delle traduzioni in
lingua inglese delle opere di Antonio Gramsci, autore generalmente considerato
difficile da coloro, lettori o di sinistra o “colti” ma non necessariamente
politicizzati, che si avvicinano per la prima volta alle sue opere. La storia
della diffusione dei suoi scritti nei paesi anglofoni è strettamente legata
alle recensioni dei volumi dei suoi scritti pubblicati prima in italiano e, in
un secondo tempo, in inglese, agli articoli ed ai commenti sul suo pensiero, ad
altri lavori sulla scena politica italiana, nonché ovviamente sugli usi che
sono stati fatti dei suoi concetti, non sempre identici a quelli tipici degli
studiosi italiani. In questa sede, perciò, si proverà a delineare le diverse
fasi di questo processo di diffusione delle nozioni gramsciane attraverso una
discussione non solo delle scelte editoriali fatte, ma anche di come esse sono
state presentate al pubblico dei lettori dei suoi scritti, sempre più diversi
tra di loro, e come tali scritti sono stati recepiti. Si discuterà anche di
alcuni scritti meno conosciuti su Gramsci perché hanno spesso avuto
un’influenza indiretta sul pubblico gramsciano per via di un “filtraggio” di
idee messo in atto dagli specialisti.
2. La prima
traduzione di Gramsci in inglese e le recensioni delle prime opere pubblicate
in Italia
Prima ancora della pubblicazione delle Lettere dal carcere
(1947) di Gramsci e, successivamente, dell’edizione tematica dei suoi Quaderni
del carcere (1948-51), la sua reputazione era già pienamente affermata. Questo
fatto può sembrare strano per una persona morta, semi-sconosciuta, in una
clinica romana sotto il fascismo; che nei primi anni Venti aveva perfino negato
il permesso di pubblicare l’unica raccolta fatta dei suoi scritti, nonostante
il libro fosse già pronto in tipografia; il cui maggiore lavoro teorico
precarcerario rimase incompiuto al momento del suo arresto nel novembre del
1926; e il cui cognome albanese risultava difficile da scrivere ai suoi
elettori tra le classi popolari venete che lo scelsero come deputato al
Parlamento nelle ultime elezioni semi-libere prima della dittatura fascista.
Nella diaspora dell’antifascismo, comunque, da ogni parte
c’era chi dava ascolto alle sue parole e lo leggeva attraverso gli articoli sul
periodico degli esuli comunisti, Stato Operaio, o veniva a conoscenza della sua
figura anche attraverso altre fonti, come l’Unità clandestina. Di fatto
soprattutto in seguito al numero speciale di quest’ultima pubblicazione, n. 6
del 1937, dedicato a Gramsci in occasione della sua morte, grande importanza fu
data alla sua figura, e si è vista un’attenzione accresciuta a livello
internazionale in seguito ai necrologi pubblicati in Francia e su Inprecorr, il
bollettino ufficiale della Terza Internazionale.
Poco tempo dopo la morte di Gramsci, su iniziativa di
Togliatti, Stato Operaio pubblicò il gruppo di lettere su Croce che il
prigioniero scrisse alla cognata Tatiana (Tania) nel 1932, con la scusa di un
aiuto fornito a quest’ultima per ciò che lei fingeva fosse una sua recensione
ai due libri crociani di storia ottocentesca, cioè quelle dell’Europa e
dell’Italia. Sono queste lettere le prime opere di Gramsci ad essere tradotte
in inglese nel secondo dopoguerra, anche perché la loro pubblicazione fu utile
ad una certa polemica anti-crociana della sinistra statunitense. Difatti Croce
godeva di una reputazione più che discreta nel mondo anglofono, in parte per le
sue monografie ed altri scritti filosofici[6],
tradotti nel primo quarto secolo del Novecento, ma anche in parte
nell’immediato secondo dopoguerra, per alcuni saggi importanti, scritti che
prendono esplicitamente posizione sulle questioni politico-morali e che
trovarono ascolto su entrambe le sponde dell’Atlantico[7];
ormai però il filosofo abruzzese, sebbene fosse stato rappresentante di un
importante ambiente intellettuale anti-fascista, era ormai in chiara deriva
verso la destra. L’importanza delle lettere gramsciane di critica a Croce si
può comprendere dal fatto che Togliatti aveva scelto di pubblicarle proprio sul
primo numero della rivista Rinascita, da lui fondata al suo ritorno in Italia
dopo vent’anni di esilio e sembra sia stata questa pubblicazione delle lettere
su Croce ad aver offerto lo spunto per la pubblicazione in inglese.
Un’ulteriore indicazione dell’importanza di tali lettere venne molto più tardi,
dopo la pubblicazione di una parte del carteggio da parte di Piero Sraffa, uno
dei maggiori economisti politici del Novecento[8],
nonché sostenitore finanziario e morale di Gramsci nel periodo carcerario. In
una lettera a Tania, primo anello della catena che da Gramsci, attraverso
Sraffa, conduceva al partito, questi osservava che “[ho] compreso il nesso
delle cose, e i frammenti, messi insieme, costituiscono una critica radicale
del libro. Dove [Gramsci] parl[a] delle funzioni storiche degli intellettuali,
[ho] riconosciuto un concetto che, in forme embrionali, [avevo] già letto in
uno scritto dove il Croce e il Fortunato vengono caratterizzati come le chiavi
di volta del sistema meridionale. [Ho] anche compreso, nonostante che non sia
stata svolta diffusamente, la questione dell’egemonia culturale …”[9].
Tutto ciò spiega la scelta di pubblicare in traduzione i saggi-lettere di
Gramsci su Croce[10]
in una rivista marxista nordamericana, Science and Society, da sempre
caratterizzata da una particolare apertura mentale ed intellettuale. In una
nota a piè di pagina, il traduttore, Samuel Putnam, spiega ai lettori della
rivista chi era Gramsci e asserisce che il prigioniero era costretto ad
utilizzare certi “sotterfugi linguistici”, ad esempio il termine praxis per
“marxismo”, ipotesi che in un primo tempo sembrava verosimile ma nella verità
poi si è dimostrata inesatta e forse alquanto fuorviante[11].
A volte, i commenti di Gramsci su Croce richiedono notevoli sforzi di
comprensione da parte del lettore e perciò è un pregio del traduttore aver
utilizzato uno stile che si adatta abbastanza bene al contenuto delle lettere:
talvolta però, si può muovere al traduttore la critica che certe scelte linguistiche
sembrano fin troppo letterali, come peraltro lo sono anche nella traduzione
integrale, quasi mezzo secolo più tardi, delle Lettere dal carcere. In un paio
di occasioni si notano degli errori, uno banale che riguarda la trascrizione
delle cifre (secondo il testo di Gramsci il periodo dell’elaborazione della
teoria crociana della storia etico-politica durò “20 anni”) e un altro che
consiste nell’interpretazione erronea di “famigerato”, nella descrizione di un
libro sul bolscevismo del giornalista René Fülöp-Miller, tradotto
“well-advertised”. Qualche lapsus di questo tipo è purtroppo abbastanza comune
per un traduttore e spesso non è grave. Un maggior problema per i traduttori di
Gramsci sta però altrove, in questa prima traduzione ad esempio nella scelta
discutibile (v. infra) di rendere “linguaggio” come “idiom” nei sintagmi
“linguaggio speculativo”, “linguaggio storicistico” e “linguaggio critico
moderno”. Il punto più debole della traduzione, comunque, oltre ai problemi
della traduzione di “storicistico” (ad es. “historicizing religion” per
“religione storicistica”) è il termine “historic bloc”, adoperato più volte per
tradurre “blocco storico” al posto del termine usato da tutti i traduttori in
inglese dopo il 1970, ossia “historical bloc”, cioè un blocco formato nello
svolgimento dello stesso processo storico[12].
Comunque, tale nesso di problemi fa parte della terminologia specializzata
della cultura storico-filosofica italiana e non deve stupire il fatto che il
primo traduttore in assoluto di Gramsci in inglese abbia avuto qualche
difficoltà per la scelta lessicale.
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Hamish Henderson, primo traduttore in inglese delle Lettere del carcere |
3. La reputazione di
Gramsci prima delle traduzioni inglesi delle sue opere
Quando le prime edizioni di Gramsci cominciarono ad essere
pubblicate in Italia, il Times Literary Supplement, rivista tra le più
autorevoli nei circoli intellettuali e letterari inglesi, recensì molto
favorevolmente le Lettere del Carcere ed il primo volume dell’edizione tematica
dei Quaderni, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce[13].
L’autore della recensione sul Supplement, in quegli anni sempre anonimo, notò
che L’Ordine Nuovo, il giornale fondato da Gramsci e dal gruppo comunista
torinese, era stato chiamato da molti “l’organo quotidiano della più alta
qualità intellettuale mai pubblicato” in Italia. Furono discussi nella
recensione la tragedia umana di Gramsci, la sua critica filosofica a doppio
taglio contro Croce ed anche contro Bucharin, nonché i suoi giudizi sulla
chiesa cattolica. Tra le conclusioni dell’articolo si legge che “la
realizzazione del marxismo in Italia esige che i suoi fautori (“professors”)
debbano raggiungere e sorpassare la saggezza contemplativa degli intellettuali”
e che, malgrado la crescente involuzione politico-culturale dovuta all’inizio
della guerra fredda, la “figura di Gramsci, come essa emerge dai propri
scritti, rimane una ispirazione” in grado di affermarsi in campi molto ampi.
Pochi mesi dopo la pubblicazione della prima edizione delle Lettere in Italia e
la loro recensione sul TLS, sembra probabile che Harry Pollitt, segretario del
partito comunista britannico e uomo dotato di buon senso nonché di fiuto
politico, abbia interpellato Piero Sraffa a Cambridge sull’eventualità di
pubblicarne una traduzione in inglese[14].
Tuttavia – e anche prevedibilmente–, in questo primo periodo
non tutte le reazioni a Gramsci nell’ambiente dell’intelligentsia “borghese”
erano positive. Malgrado la recensione favorevole uscita sul TLS, in uno dei
primissimi cenni al suo lavoro, contenuto in un libro di un venticinquenne
funzionario del Ministero degli Esteri britannico, il sardo appare sotto una
luce totalmente diversa. Accanto a Gobetti e Rosselli (non è specificato se
Carlo o Nello) egli, sì, è considerato responsabile della “rinascita del
socialismo italiano” nel periodo 1922-26, ma è giudicato colpevole di aver
introdotto un “comunismo alquanto sinistro che, perché è gestito dall’estero, è
così sorprendente alle idee occidentali”; su materie secondarie “gli scritti di
Gramsci mostrano una mente aperta”, mentre “sulla stessa teoria marxista essi
sono aridi, senza originalità, e privi di umorismo”, e in tal modo era diverso
dal suo amico Gobetti, così “profusamente, gioiosamente, meravigliosamente
eclettico”.[15]
In questo libro Young propone esattamente il tipo di giudizio negativo su
Gramsci che, dieci anni dopo, lo storico Christopher Hill criticherà come
parere troppo diffuso tra molti intellettuali borghesi, che si erano arresi
durante la guerra fredda e che pertanto non avevano interesse a far pubblicare
le opere di un pensatore originale e innovativo come Gramsci.
Quattro anni dopo il primo articolo su Gramsci sul TLS, nel
numero del 5 dicembre 1952, la rivista tornò all’argomento, in una recensione
(“More about Gramsci”), molto equilibrata e molto ricca di spunti,
dell’edizione in sei volumi dei Quaderni curata da Felice Platone sotto la
guida di Togliatti. Inevitabilmente, l’articolo discute della questione del
rapporto Gramsci-Croce: “Croce era sempre di grande significato per Gramsci, e
tale fatto non ha mai smesso di preoccupare gli amici comunisti di Gramsci …
ansiosi come sono a dimostrare che egli non deviò mai dall’ortodossia”
marxista. Per Gramsci, compito del marxismo consisteva nell’“estrarre gli
elementi veramente progressisti” dalle sue tre fonti principali, ossia quelle
trovate nella “filosofia tedesca, nell’economia politica classica inglese e
nella letteratura e pratica politica francese”, elementi che, tra l’altro,
formano parte importante della base dell’approccio gramsciano alla
traducibilità dei linguaggi filosofici e scientifici. L’autore dell’articolo fa
notare le parole di Croce che poteva scrivere di Gramsci solo con affetto[16]
e, allo stesso tempo, segnala i motivi per cui anche un “anti-comunista come
Umberto Calosso” poteva definire Gramsci un “eroe geniale”. La recensione
conclude con l’osservazione che occorreva una riforma intellettuale e morale,
molto più ampia di quella che poteva essere effettuata da un marxismo volgare o
da un partito politico, e tale posizione era in grado di spiegare l’entusiasmo
per Gramsci condiviso da “persone che sono lungi dall’essere marxisti”.
Nello stesso periodo, uscirono sulle pagine di Science and
Society altre due recensioni delle opere gramsciane, scritte a Città del
Messico a firma di “Giulio Muratore”, il nome assunto dall’intellettuale
statunitense Henry F. Mins, Jr., quando era esule politico dal maccartismo.
Questi recensì prima le Lettere e il Materialismo storico e la filosofia di
Benedetto Croce (Science and Society, 13, 79-81, 1949) e, in un secondo tempo,
Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Il risorgimento e Note sul
Machiavelli e sullo stato moderno (Science and Society, 15, 275-8, 1951). La
prima recensione è, a dire il vero, piuttosto generica, come in un certo senso
doveva essere per introdurre Gramsci ad un pubblico che, a parte la traduzione
delle lettere su Croce, era completamente digiuno in materia gramsciana;
comunque il commento di Mins/Muratore che conclude la prima parte dell’articolo
è molto eloquente: “Oltre ai loro valori pedagogico e politico, le lettere
costituiscono un cumulativo documento drammatico che equivale alla tragedia”.
La seconda parte dell’articolo entra nel merito del duplice attacco di Gramsci
che usa il suo hegelismo per criticare, da una parte, quello stesso idealismo
crociano dal quale era partito anni prima e, dall’altra, le deformazioni del
marxismo dovute all’approccio meccanicistico di Bucharin. Molto interessante è
il paragone fatto dall’autore della recensione tra due stili frammentari, da
una parte quello dei Quaderni di Gramsci e, dall’altra, quello delle Pensées di
Pascal. Emerge dal primo di questi articoli che Gramsci è pienamente
riconosciuto come scrittore che aveva delle cose importanti da dire sugli
argomenti filosofici, la cui coerenza è garantita “dalla sobrietà e dal vigore
dell’esposizione” tipici dei Quaderni. Nella seconda recensione, Mins riprende
lo stesso tema, stavolta citando i commenti di Gramsci su Lutero ed Erasmo,
indicando la critica mirata a quest’ultimo come analoga a quella che si muoveva
a Croce e ad altri che come lui non riconoscevano il contributo innovativo del
marxismo, vedendo solo il lato deteriore del processo di divulgazione
necessario per rendere i concetti marxisti più accessibili ad un pubblico di
militanti spesso “non colti”. L’articolo continua con commenti su ciò che in
epoca posteriore divenne noto come “americanismo”, in particolare sul ruolo del
fordismo nella costruzione di un “tipo nuovo di essere umano”, e l’autore
conclude “A coloro che hanno dimestichezza con la lingua, questi volumi
[gramsciani] significano che un nuovo classico è stato aggiunto alla
letteratura italiana”.
T
ra i due articoli sul TLS e su Science and Society che
presentarono al pubblico borghese “colto” della Gran Bretagna ed ai marxisti
nordamericani, rispettivamente, le opere carcerarie di Gramsci, fu pubblicato
negli Stati Uniti un commento sul sardo, contenuto in una lunga ed importante
recensione delle tendenze politiche nel comunismo dell’Europa occidentale. In
tale articolo, Mario Einaudi[17]
attirò l’attenzione dei lettori sulle Lettere e sui quattro volumi allora
usciti dei Quaderni (cioè senza Letteratura e Vita Nazionale e senza Passato e
Presente). Nella recensione è citata la famosa opinione di Croce in occasione
della pubblicazione delle Lettere dal Carcere, secondo la quale Gramsci
apparteneva anche a coloro che si trovano nel campo politico opposto, cioè
l’apoteosi di Gramsci al rango degli scrittori classici. Ciononostante, e
probabilmente sotto l’influenza di giudizi più severi del filosofo abruzzese,
espressi quando questi poté leggere l’intera critica che Gramsci gli fece,
Einaudi scrive degli errori e dei “giudizi sbilanciati” di Gramsci,
“presumibilmente da essere attribuiti alle circostanze fisiche” in cui visse il
prigioniero. Forse da qui il recensore prende lo spunto per esprimere il
parere, successivamente aspetto di un dibattito che durò per tutti gli anni
Cinquanta, secondo cui “sebbene Gramsci fosse costantemente impegnato in un
dialogo con Croce, Lenin e non Croce è la sua guida”. La recensione riconosce
negli scritti carcerari un numero “inaspettato” di sottigliezze e sfumature
“che hanno caratterizzato molti aspetti della più recente pubblicistica
comunista”, ma al tempo stesso è presa di mira la “giustifica della dittatura”
che, secondo Einaudi, vi è contenuta, giudizio che però non tiene conto della
carica innovativa nell’uso dei termini e dei concetti di “dittatura” e di
“egemonia” nei Quaderni. L’autore conclude i suoi commenti su Gramsci con un
cenno al ruolo svolto dal concetto di “cultura” nei Quaderni, consapevolezza
molto meno marcata nei suoi successori, come erano anche meno avanzate rispetto
alle opinioni del dirigente comunista quelle dei leader che lo succedettero
sugli aspetti della “tragedia e del cambiamento in atto nel mondo moderno,
fattori non visti solo dall’ottica dell’Unione Sovietica”. I pareri espressi
dall’autore sono certamente interessanti, e ben al di sopra del livello della
mera propaganda della guerra fredda, ma riescono solo parzialmente a riflettere
tutta la carica innovativa del pensiero gramsciano e purtroppo, viziati come
altri giudizi espressi nella recensione, risentono dell’atmosfera dell’era in
cui sono stati scritti. Di fatto, visto il modo alquanto cifrato e bizantino in
cui si svolsero i dibattiti tra i comunisti di allora, Einaudi non sempre
coglie le sfumature delle diverse posizioni espresse. Riassumendo, si può
constatare che al ceto politico di destinazione della recensione, ossia
principalmente lo “East coast establishment” statunitense, la novità
rappresentata da Gramsci rimase purtroppo semi-nascosta e si dovette aspettare
la pubblicazione in traduzione di alcune sue opere e di lavori su di lui prima
che le sue idee potessero cominciare a circolare negli USA tra i ceti
intellettuali non-marxisti.
Da questi articoli, eccezione fatta per il libro di Wayland
Young, si intravede la fama, se non di eretico, almeno di comunista poco
“ortodosso”[18]
di cui era tacciato Gramsci in certi ambienti anche del movimento comunista;
pertanto si cominciano a capire i motivi per cui si sarebbero dovuti aspettare
ancora alcuni anni per la pubblicazione in inglese di traduzioni delle sue opere,
a parte quella delle lettere su Croce, pubblicata su Science and Society. Non è
che mancasse un testo da pubblicare, dal momento che una traduzione delle
Lettere del carcere era già pressoché pronta. Infatti lo scozzese Hamish
Henderson, esperto della cultura popolare del suo Paese, ne cominciò una
traduzione in base all’edizione ancora piuttosto parziale della casa editrice
Einaudi. La storia della pubblicazione di tale traduzione ha però
dell’incredibile: di fatto si parla dell’apparizione di Henderson, con il
dattiloscritto sottobraccio, a feste della sinistra di Glasgow – una sinistra
notoriamente dedita ai piaceri dell’alcool – dove si tratteneva a spiegare a
chi dava ascolto, tra i fumi del whisky, chi era Gramsci e perché i suoi
scritti erano così importanti[19].
I tempi, però, non erano propizi per la pubblicazione del suo volume, e perché
essa vedesse la luce si dovette, purtroppo, aspettare un altro quarto di
secolo. Promuovere le opere di Gramsci non era negli interessi né dei fautori
di un marxismo dogmatico, né di quei ceti intellettuali non-marxisti, sia di
stampo conservatore sia quelli liberali ma influenzati dall’anticomunismo dell’epoca.
4. I primi volumi di Gramsci in inglese
Il balzo in avanti nella storia della pubblicazione in
inglese di Gramsci accadde contemporaneamente alla prima grande crisi del
comunismo sovietico, segnata sopratutto dai fatti dell’Ungheria, che liberò le
forze intellettuali marxiste critiche dell’“ortodossia” comunista. Dentro il PC
britannico un gruppo in particolare, quello degli storici, era interessato a
far circolare le idee gramsciane. Sotto la loro spinta, la casa editrice del
partito finalmente pubblicò una prima raccolta di scritti di Gramsci, tradotta
da Louis Marks, con il titolo The Modern Prince and Other Writings[20].
Marks stesso descrisse i contenuti e l’autore dei Quaderni in un articolo
pubblicato sulla rivista teorica del partito, il Marxist Quarterly (successore
al Modern Quarterly) nel numero 4 (autunno) del 1956 nel quale si legge per la
prima volta una breve esposizione del concetto gramsciano di “intellettuale”.
Il Modern Prince contiene alcuni scritti dall’Ordine Nuovo,
una prima traduzione del saggio sulla “quistione meridionale” su cui Gramsci
lavorava al tempo del suo arresto, ed alcune note, tratte dai Quaderni, su
Bucharin, sulla natura dell’uomo e sulla natura del partito (“il moderno
principe” per l’appunto). Il volume è stato oggetto di critica in ambienti
vicini all’Istituto Gramsci di Roma[21]
perché non è esente da errori, forse più ovvi nelle note: ad esempio alcune
date (p. 56) riguardanti la vita carceraria di Gramsci sono inesatte e si
asserisce che Angelo Tasca divenne “director” – si suppone “direttore” – de
L’Unità dopo il 1945, affermazione palesemente erronea, mentre alcune
spiegazioni di eventi storici sono piuttosto approssimative. Nella traduzione
stessa, la parola “praxis”, ancora a quel tempo inusuale in inglese, è
interpretata da Marks come “action”, una scelta apparentemente strana e certamente
sbagliata, ma parzialmente comprensibile in base alla constatazione che ciò che
i marxisti chiamano “praxis” (nei Quaderni “prassi” o spesso anche “praxis”) è
vicino a ciò che dai fenomenologi viene chiamato “action”; infatti entrambi i
concetti ci vengono dalla stessa parola greca. Affermare che Gramsci parlasse
del marxismo come “philosophy of action” (p. 57) è tuttavia fuorviante;
inoltre, nel tentativo di facilitare la vita ai lettori, il traduttore fa
invece un dis-servizio usando la glossa “marxismo” (v. ad esempio p. 81,
traduzione del paragrafo 35 del Quaderno 7) dove Gramsci scrive “filosofia
della praxis”, giudicato da Marks (come peraltro da quasi tutti in quell’epoca)
una mera “circonlocuzione”. Gli errori nondimeno, comunque, questo volume era
prezioso per il suo tempo, essendo l’unico volume gramsciano disponibile negli
ambienti della sinistra britannica fino al 1971 e, pertanto, ebbe una sua
influenza sullo sviluppo dei giovani intellettuali dell’epoca e, attraverso
loro, sul fermento politico-culturale dei tardi anni Sessanta.
In un caso raro, nel clima piuttosto teso tra la leadership
del PC britannico ed i fuoriusciti dal partito, il Modern Prince fu accolto
positivamente sia sulla New Reasoner, rivista trimestrale dei marxisti critici[22],
sia sulla rivista mensile Marxism Today, successore della Marxist Quarterly
come ufficiale organo teorico del partito. Nelle pagine della prima di queste
riviste, Christopher Hill, il grande storico della rivoluzione inglese del
Seicento, tesse le lodi di Gramsci come il più grande pensatore marxista
dell’Europa occidentale, nonché dei contenuti del libro e perfino della
traduzione; Hill comunque non aveva una conoscenza dettagliata della lingua
italiana e nemmeno, da quanto traspare, accesso all’originale e perciò si legge
nella recensione che la frase tradotta “philosophy of action” è stata scritta
per evitare la censura carceraria, senza nemmeno rendersi conto che la frase
originale nel Quaderni era “filosofia della praxis” (o “della prassi”). Grande
pregio della recensione è il riconoscimento del rifiuto da parte di Gramsci di
qualsiasi dogmatismo e delle sue critiche all’obbedienza automatica alle
decisioni prese dall’alto senza la necessaria consultazione (il “centralismo
organico” invece di quello “democratico”), atteggiamento a cui Hill si affidò
per interpretare i fenomeni scatenati dalle rivelazioni su Stalin e sul sistema
staliniano rese pubbliche nella scia del ventesimo congresso del PCUS. Il
recensore riesce anche a cogliere l’importanza della doppia critica mossa da
Gramsci, da una parte, al marxismo meccanicistico di stile buchariniano e,
dall’altra, alla filosofia idealista, soprattutto quella crociana (vedasi
infra). Altrettanto positiva fu la relativamente breve recensione sul secondo
numero di Marxism Today ad opera di George Thomson, storico della letteratura e
del pensiero della Grecia antica, che, tra l’altro, paragonò l’approccio di
Gramsci a quello sviluppato in Cina da Mao Ze Dong, il cui prestigio non era
ancora in discussione nel movimento comunista. I punti di contatto tra i due
politici, l’uno dell’Est e l’altro dell’Ovest, erano da identificare, secondo
Thomson, nel loro sapere stabilire delle radici profonde tra le masse, nel
sapere unire la teoria e la pratica, e nel ruolo dell’intellettuale ipotizzato
da Gramsci. Quest’ultimo fattore, con riferimento specifico all’analisi del
rapporto nord-sud, fungeva da trait d’union tra città e campagna ed era di
ovvia pertinenza ad una rivoluzione come quella cinese, nella quale i contadini
svolgevano un ruolo di primo piano.
Su una rivista del PC statunitense, il libro fu recensito
negli USA da John Cammett[23],
che si servì dello pseudonimo Fred Hallett, segno che il maccartismo non era
ancora definitivamente sepolto. Esattamente come sulle riviste di sinistra britanniche
anche Cammett sentiva il bisogno, ben vent’anni dopo la morte di Gramsci, di
dare informazioni sulla sua vita e carriera prima di entrare nel merito del suo
lavoro e della sua influenza[24].
Temi principali della recensione erano il Mezzogiorno e l’atteggiamento degli
intellettuali – gli organizzatori della cultura –, ma vi si legge anche uno dei
primi accenni in inglese al concetto del “nazional-popolare” nonché, di nuovo,
una discussione del ben noto attacco gramsciano al marxismo volgare,
meccanicistico e deterministico. Il recensore critica la scelta editoriale
compiuta sia nel caso del Modern Prince sia in quello di un volume statunitense
di scritti gramsciani[25],
The Open Marxism of Antonio Gramsci, uscito quasi contemporaneamente alla
traduzione di Marks, di non includere la critica gramsciana alla filosofia
idealista, nella fattispecie quella crociana; questa lacuna portò al pericolo
di una lettura unilaterale di Gramsci e rischiava di lasciare via libera ai
“critici senza scrupoli” nel “dimostrare” che l’autore dei Quaderni era
revisionista del marxismo in senso idealista. La recensione del Modern Prince
conclude con un elenco parziale, diverso da quello sopra, degli errori della
traduzione, giudicata inferiore al volume tradotto negli Stati Uniti.
Il traduttore della breve selezione di scritti gramsciani
uscita negli USA era Carl Marzani, un cittadino americano di origine italiana,
che aveva combattuto in Spagna, era stato per un breve periodo iscritto al PC
statunitense, e subì poi incarcerazione durante l’era maccartista[26].
Nel suo opuscolo – solo sessantaquattro pagine – il primo quarto consiste
dell’introduzione, nella quale il traduttore dichiara di aver rimosso sia
“qualche nota a piè di pagina” (il modo che i curatori dell’edizione tematica
dei Quaderni scelsero per includere commenti che Gramsci stesso aveva messo tra
parentesi) sia alcuni capoversi giudicati “ripetitivi” o di contenuto
“esoterico” che al pubblico americano sarebbero parsi “privi di significato”;
le frasi di Gramsci “in codice” erano nella traduzione “decodificate”[27].
La traduzione stessa ha una forma decisamente strana, perché contiene dei
commenti interlineari – letteralmente interlineari – del curatore-traduttore
allo scopo di orientare il lettore. Tali commenti, inclusi in corsivo,
costituiscono circa il trenta percento del volumetto e cercano di interpretare
il testo e spiegarne la pertinenza alla situazione negli Stati Uniti di allora.
Marzani fece una scelta ante litteram nell’includere nel suo volumetto alcuni
testi filosofici, e infatti la prima metà del libro si intitola “Preliminaries
to a Study of Philosophy” (cioè parte importante della polemica contro
Bucharin). Il resto delle quarantotto pagine di testo tratto dai Quaderni
consiste di una selezione di diverse note di natura filosofica, scelta che
offrì al traduttore la possibilità di collegare il discorso di Gramsci ad
alcune correnti filosofiche degli Stati Uniti, comprese quella del pragmatismo,
nella persona di William James, e quella del neo-hegelismo, con caposcuola
Josiah Royce, filosofi entrambi menzionati nei Quaderni. Il libro si conclude
con la prima traduzione in inglese di alcune note di Gramsci sulla “Translation
of Philosophic and Scientific Idioms” (corsivo di chi scrive). Qui Marzani
semplifica troppo poiché Gramsci stesso usa nel suo titolo a queste note la
parola “traducibilità”, non “traduzione”, cioè egli usa un termine per denotare
un concetto, anche filosofico, e non un termine descrittivo di una pratica. Un
secondo punto da notare riguardante il titolo di tali pagine, è la scelta di
“idioms” per rendere “linguaggi”. Come marxista statunitense Marzani
sicuramente era a conoscenza della traduzione di Samuel Putnam delle lettere su
Croce (vedasi sopra) una decina di anni prima, e forse è stato influenzato da
tale scelta traduttiva. Il suo ragionamento è che per “linguaggio”, in queste
note, Gramsci intendeva “l’insieme culturale, il modo di pensare di agire in un
dato paese in una determinata epoca. Come corollario, la parola ‘tradurre’
significa trasporre, trovare una corrispondenza o una differenziazione tra gli
‘idiomi’ di vari paesi”[28];
su questo argomento si tornerà in chiusura dell’attuale articolo.
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Buzz Goodbody, regista teatrale di Occupations |
5. L’impatto delle
prime traduzioni
Forse in parte stimolato dalle antologie di Marks e di
Marzani, un primo contributo alla letteratura su Gramsci da parte della
intelligentsia “ortodossa” statunitense si aveva poco tempo dopo; di fatto
troviamo in un lavoro del 1959 che Stuart Hughes, filosofo politico di gran
prestigio, lo considerava come pensatore per certi versi superiore a Lenin,
giudicato invece più “rozzo”[29].
Nonostante questo parere di Hughes e, dall’altra parte dello spettro politico,
l’ammonimento di John Cammett, è solo relativamente di recente che i lettori in
lingua inglese di Gramsci, sia marxisti sia non-marxisti (ad esempio Maurice
Finocchiaro) hanno cominciato ad accorgersi della piena portata delle sue
osservazioni sulla filosofia (v. infra). Sempre in seguito alle primissime
traduzioni molto parziali di Gramsci, la New Reasoner, nei numeri 9 e 10
(dell’estate e dell’autunno del 1959), incluse una brevissima selezione di
lettere scritte in carcere, pubblicazione già preannunciata nel numero 4. La
prima di queste traduzioni fu preceduta dalla spiegazione della curatrice,
Valerie Gribbin, che il carteggio carcerario di Gramsci non era disponibile in inglese
“sebbene sia stato tradotto da Hamish Henderson” (corsivo di chi scrive). I
brani scelti dalla rivista erano la lettera alla cognata Tania del 5 ottobre
1931 sulla questione ebraica (New Reasoner, no. 9, pp. 141-4) ed estratti di
lettere alla moglie, Julka, sulla psicologia e sullo sviluppo dei loro figli,
incorporati in un breve articolo scritto dal sociologo Peter Worsley (New
Reasoner no. 10, pp. 123-7). Dopo il suo decimo numero, la rivista si unì alla
Universities and Left Review per partorire la New Left Review, rivista
importante negli ambienti della sinistra intellettuale che, nel suo primo
periodo, godeva della fama di essere di difficile lettura e per tale motivo fu
il bersaglio di diverse parodie. Fu questa rivista in particolare a continuare
a proporre Gramsci come autore di primissimo piano, e, per la prima volta, il
lavoro su di lui consisteva non tanto nella traduzione delle sue note – per la
verità poco è stato pubblicato in traduzione nel decennio successivo ai volumi
di Marks e di Marzani–, ma nel tentativo di applicare i suoi concetti ad una
realtà nazionale non-italiana. Infatti, sfogliando le pagine della rivista per
gli anni Sessanta, è evidente la chiara influenza del pensatore sardo e si
vedono il suo nome e i suoi concetti citati esplicitamente in tutta una serie
di articoli, di autori britannici ed anche di altri Paesi europei. Erano tempi
in cui uno dei redattori della rivista, Quintin Hoare, assieme a Geoffrey
Nowell Smith, esperto di cultura italiana e già autore di un prezioso volume su
Luchino Visconti, stavano preparando il volume Selections from the Prison
Notebooks, fondamentale e giustamente famoso nel mondo anglofono. E in
anteprima Hoare fece pubblicare sulla NLR n. 32 (luglio-agosto 1965, pp. 55-62)
la propria traduzione di alcune note contenute nel Quaderno 12, quaderno
monografico sugli intellettuali, sotto il titolo In Search of the Educational
Principle (“Per la ricerca del principio educativo”: Q12§2). Interessante è la
lunga introduzione di Hoare, nella quale dimostra la pertinenza del
ragionamento di Gramsci alla situazione britannica degli anni Sessanta, ai
tentativi del governo laburista di superare la vecchia politica conservatrice
riguardo all’istruzione, sia pubblica sia privata, per poter meglio affrontare
le sfide poste della rivoluzione tecnologica. Tre anni dopo (NLR, n.51,
settembre-ottobre 1968) gli scritti di Gramsci scelti per un nuovo intervento
sulla scena contemporanea erano, prevedibilmente, presi dall’Ordine Nuovo e
avevano come argomento i consigli operai[30].
Di nuovo la selezione fu preceduta da un’introduzione, questa volta del
direttore della rivista, Perry Anderson, orientata ad indicare le analogie tra
il “biennio rosso” di Torino e la situazione provocata dai movimenti
operaio-studentesco di quell’anno in alcuni Paesi europei. Anderson indica però
anche il seguito di questo periodo gramsciano che sfociò nelle sue riflessioni
sul bisogno di costruire il partito rivoluzionario. Così facendo, egli provò a
collegare il Gramsci dei consigli operai torinesi al Gramsci teorico della
robustezza della società civile nelle società avanzate.
Altra fonte che diffondeva le idee gramsciane attraverso la
pubblicazione di diversi studi sul pensiero del sardo è stata il Socialist
Register[31],
annuario che fungeva da trait d’union tra vecchia e nuova sinistra. Attraverso
tali canali, il pensiero gramsciano continuava il lento processo di
attecchimento tra le nuove leve della sinistra intellettuale ma divenne anche
oggetto di discussione in ambienti diversi da quello della sinistra. Svariati
lavori cominciarono a comparire sulle riviste accademiche e politologiche,
comprese certe pubblicazioni tutt’altro che di sinistra, mentre diversi libri
sul Partito Comunista Italiano o sul movimento contadino, prodotti in ambienti
accademici statunitensi che pretendevano di offrire spiegazioni ai governanti
del loro Paese sul successo della sinistra italiana, sono spesso superficiali
o, incredibilmente, omettono di discutere dell’approccio comunista
riconducibile a Gramsci; eccezione parziale a questa critica è il libro curato
da Blackmer e Tarrow sul comunismo in Italia e in Francia[32].
Tutto ciò è in netto contrasto con le opere di una generazione successiva di
studiosi di orientamento favorevole alla sinistra come Cris Shore e Grant
Amyot, autori di studi particolareggiati su determinati aspetti della politica
e del modo di organizzazione e di presenza nella società del PCI[33],
che invece prestano seria attenzione al contributo di Gramsci nonché a quello
di Togliatti. È ovvio che diverse di queste pubblicazioni statunitensi erano
state concepite allo scopo di contrastare l’influenza politico-culturale
comunista e, dietro alcune di esse, si può scorgere lo “zampino” della CIA. Tra
gli scrittori di destra, nelle varie bibliografie spicca il nome di Neil
McInnes[34],
autore che ovviamente aveva lo scopo di “vaccinare” i ceti intellettuali contro
il “morbo gramsciano”[35].
Comunque questi è stato abilmente contrastato da Alastair Davidson, storico di
formazione, ed ormai da molti anni stabilitosi in Australia, e che, oltre alla
polemica con McInnes, è stato autore di diverse pubblicazioni su Gramsci
pubblicate in Australia e in Europa, opere sempre molto equilibrate. Negli anni
che vanno dalla metà degli anni Settanta all’inizio degli Ottanta, scrisse
anche due volumi sull’Italia, una biografia intellettuale di Gramsci e uno
studio sulla teoria e pratica del comunismo italiano[36],
opera che, sebbene importante per la ricezione in lingua inglese di Gramsci
quanto quella di John Cammett sulle origini del PCI, è stata interrotta ma la
cui continuazione si auspica vivamente.
Comunque gli altri usi e discussioni di Gramsci in lingua
inglese in questo periodo, fino a prova contraria, sembrano scarsi e vengono
magari da autori in traduzione, due dei quali si distinguono in particolare. Il
primo è il marxista austriaco Ernst Fischer, autore di un volume intitolato The
Necessity of Art, studio che, nel panorama intellettuale ancora piuttosto
grigio dei primi anni Sessanta, suscitò interesse e riscosse consensi in
ambienti intellettuali molto più vasti di quelli della sinistra. In esso
Fischer cita una lettera alla cognata del “grande marxista italiano” in cui il
prigioniero discute della cura psicanalitica, “giovevole – secondo Gramsci –
per quella parte di elementi sociali che la letteratura romantica chiamava
‘umiliati e offesi’”, concezione la quale, al parere dell’autore austriaco, non
è da limitare solo a tale contesto, come potrebbe sembrare dalla lettera
gramsciana, ma è utile anche per l’analisi di altri periodi storici, ad esempio
“nella transizione dalla primitiva collettività sociale alla ‘età di ferro’
della società classista”[37].
Il secondo volume, scritto anch’esso da un austriaco e, come Fischer, anch’egli
comunista fieramente anti-stalinista, è di Franz Marek (cioè Ephraim [anche
“Franz”] Feuerlich), autore del libro intitolato in inglese Philosophy of World
Revolution. In tale volume l’autore dedica a Gramsci un capitolo “Intervention
from behind Prison Walls” nel quale, oltre ad evidenziare la critica
anti-meccanicistica del prigioniero diretta non solo al solito Bucharin, ma qui
anche a Plechanov, egli attira l’attenzione del lettore sul fatto che
l’espressione “filosofia della praxis” fu usata non solo per aggirare la
censura carceraria; i brevi commenti di Marek su tali aspetti sono indicativi
di un approccio ben più avanzato rispetto a gran parte degli scritti su Gramsci
di quell’epoca. L’autore è giustamente anche molto critico del fatto che quando
scriveva, quasi vent’anni dopo la prima pubblicazione in italiano delle
principali opere gramsciane, i Quaderni “rimanevano quasi sconosciuti fuori d’Italia”,
un oscuramento da collegare a “tutto quell’aspetto che si può sintetizzare
nella nozione del culto della personalità”, conclusione che ormai suona
alquanto sbrigativa, ma che egli approfondì negli anni successivi, nel corso di
attività che condussero prima ad una temporanea vittoria anti-stalinista nel
Partito Comunista Austriaco e poi, dopo la rivincita dei dogmatici
filosovietici[38],
all’espulsione sua e di Fischer da tale partito.
6. “Selections from the Prison Notebooks”
I tempi
erano ormai più che maturi per una selezione estesa degli scritti di Gramsci e,
finalmente, nel 1971 uscì il suddetto Selections from the Prison Notebooks[39] (SPN), volume che definì il grande
balzo in avanti nell’introduzione e poi nell’applicazione dei concetti
gramsciani alle società anglofone, e non solo[40]. Il filosofo Maurice
Cornforth, persona autorevole nel consiglio d’amministrazione della casa
Lawrence and Wishart, fu tra coloro, assieme a Roger Simon[41],
che caldeggiò la pubblicazione di Gramsci, utilizzando anche l’argomento che
quest’ultimo era “troppo importante da lasciare ai nostri amici della nuova
sinistra”. Temi principali in ordine di presentazione erano gli intellettuali,
la storia italiana e il Risorgimento, gli scritti di Machiavelli e il “Moderno
Principe”, cioè la questione del partito, lo Stato e la società civile,
l’americanismo e il fordismo e la polemica contro Bucharin. I due traduttori
avevano accesso, attraverso l’Istituto Gramsci, anche alle prime stesure,
rimaste inedite fino alla pubblicazione dell’edizione critica dei Quaderni nel
1975, degli scritti del prigioniero, note che qualche volta aiutano a risolvere
alcuni problemi interpretativi. In generale, anche se hanno potuto consultare i
manoscritti gramsciani e, inoltre, sia loro sia Roger Simon – nel suo caso per
la scelta fondamentale dei testi da tradurre – avevano consultato Piero Sraffa,
quando lavorava ancora a Cambridge, la loro selezione ha seguito la falsariga
dell’edizione tematica della Einaudi (1948-51), curata da Felice Platone sotto
la guida di Togliatti. Hoare e Nowell Smith si sono sforzati, nella loro
traduzione, di creare un lessico inglese per meglio rendere i termini
gramsciani, qualche volta – come rammentano nella prefazione –, al costo se non
di coniare neologismi almeno di usare formulazioni che suonavano innaturali. In
questa scelta di strategia traduttiva hanno, sì, innovato il linguaggio
politico, ma forse, per i termini non strettamente di origine gramsciana, non
sono sempre stati coerenti; la parola “totalità”, ad esempio, ha una lunga
storia linguistico-semantica e può essere “totalità” in senso hegelo-marxista o
può avere semplicemente il senso di un insieme. I traduttori hanno usato
qualche volta “totality” e qualche volta “ensemble”[42];
lasciare che il lettore decidesse per sé e non imporre una lettura sarebbe
stato, all’avviso di chi scrive, un approccio più saggio. Va osservato
comunque, a proposito delle scelte linguistiche compiute nel volume, che la Gran
Bretagna ed anche gli USA erano paesi molto poveri a fronte della teoria e dei
concetti politici sviluppati nell’Europa continentale del Novecento, e perciò
mancava loro un lessico politico aggiornato; in tale contesto la New Left
Review in particolare, ma anche qualche piccola casa editrice[43],
svolgeva negli anni Sessanta e Settanta una funzione innovatrice, anche
linguisticamente, attraverso l’introduzione nelle società anglofone delle opere
scritte da alcuni tra i più importanti pensatori ed autori della sinistra
non-anglofona, tra i quali Gramsci ovviamente occupa un posto preminente.
Una misura del successo del libro curato da Hoare e Nowell
Smith sta nel fatto che è stato più volte ristampato, con qualche aggiustamento
qua e là per correggere gli inevitabili errori e sviste che si trovano in un
volume culturalmente innovativo e, al tempo stesso, molto complesso. La svista
più evidente, corretta solo dopo le prime sei o sette edizioni, è quella di
avere mantenuto inconsciamente nel testo tradotto una glossa che sembra far
affermare da Gramsci che “in Russia lo Stato era tutto, la società civile era
primitiva e gelatinosa”, mentre per la verità il prigioniero rivolgeva il suo
commento all’“Oriente” (Q7§16; SPN p. 238) senza specificare esattamente ciò
che in questo contesto significava per lui il concetto di “Oriente”. In un
altro paio di occasioni, forse per un errore nella revisione delle bozze, manca
una riga intera dell’originale, senza comunque che tale lacuna sia evidente
nella traduzione. In uno di questi casi, nel contesto del famoso discorso sugli
intellettuali del Quaderno 12, è stato saltato un commento sugli intellettuali
statunitensi. Infatti dalla frase “La necessità di un equilibrio non è data dal
fatto che occorre fondere gli intellettuali organici con quelli tradizionali
che non esistono come categoria cristallizzata e misoneista, ma dal fatto che
occorre fondere in un unico crogiolo nazionale di cultura unitaria tipi di
cultura diversi portati dagli immigrati di varie origini nazionali” è stata
saltata nella traduzione la frase qui messa in corsivo e che potrebbe essere
resa in modo piuttosto letterale: “ … who do not exist as a crystallized
category opposed to innovation …”)[44].
E come rilevò Edward Said un’altra frase essenziale è stata saltata nel
discorso sulla filosofia dell’undicesimo quaderno (Q11§12, Nota I; SPN p.324).
Infatti, qui Gramsci scrive dell’“inizio dell’elaborazione critica” della
filosofia per rendere “unitaria e coerente” la propria concezione del mondo è
necessario rendersi conto delle “tracce” lasciate nella coscienza “senza
beneficio d’inventario”. Ovviamente a tale punto “occorre fare inizialmente un
tale inventario”: “as a start one has to draw up just such an inventory”, ma
purtroppo quest’ultima frase è stata saltata nella traduzione. Inoltre, nella
cosiddetta “seconda parte” del Quaderno 10, due cose sono anch’esse omesse; la
prima forse per un riferimento poco chiaro di Gramsci, che sembra si sia
ricordato male, mentre la seconda sembra non essere stata rilevata in fase di
correzione delle bozze. Nel Q10II§46 (SPN p.368) dopo l’osservazione che “una
tendenza del materialismo volgare e del positivismo aveva dato luogo alla
scuola neo-kantiana o neo-critica” Gramsci aggiunge “Cfr. a proposito della
kantiana ‘cosa in sé’ ciò che è scritto nella Sacra famiglia”, ossia “on the
subject of the Kantian ‘thing in itself’ cf. what is written in the Holy
Family”, osservazione che ha lasciato perplessa anche l’équipe editoriale di
Gerratana. Alla pagina 117 di SPN, invece, la traduzione dell’ultimo paragrafo
(§61) del decimo quaderno deve includere (alla riga 17, dopo le parole “French
Revolution”) le parole “which with Napoleon tended to establish a permanent
hegemony” (“che con Napoleone tendeva a stabilire una egemonia permanente”).
Nel tentativo di far pubblicare la traduzione in tempi
relativamente brevi, qualche volta, ma raramente, sono rimasti errori di
interpretazione del testo, alquanto banali, che una più attenta lettura delle
bozze avrebbe scoperto. Infatti, dove Gramsci (Q11§64) parla della natura
trasformata dall’uomo, nella traduzione si legge “the transformed nature of
man” (SPN, p. 372) invece di “nature transformed by man”. Sempre sullo stesso
tipo di argomento, e forse a causa di una svista, alla pagina 355 di SPN c’è la
ripetizione della parola “natura”: dove Gramsci (Q7§35) parla dell’“unità del
genere umano”, invece della “unity of the human species” si legge che “the
nature of the human species is not given by the ‘biological’ nature of man”.
Altre cose da notare sono che si coglie meglio l’ironia e il tono scherzoso
della battuta di De Sanctis a proposito della scuola napoletana di Basilio
Puoti se si legge “the elders of Santa Zita” e non “the old men of Santa Zita”
(SPN, p.29, Q12 § 2) e che la parola “accezione” dell’originale ha il
significato di “meaning” più che di “acceptance” (SPN, p.8, Q12 § 1). Il
consenso unanime tra i gramscisti anglofoni, ma purtroppo non ancora notato e
recepito da coloro che fanno un uso più indiretto delle nozioni gramsciani, è
che la traduzione di “blocco storico” è “historical bloc” (come compare sempre
nel testo di Hoare e Nowell Smith) e non “historic bloc” (come compare invece
nell’indice al libro)[45].
Tornando al 12° Quaderno (p.1524 dell’edizione critica di
Valentino Gerratana, p.16 di SPN) si nota una cosa strana: dopo le parole
“queste osservazioni devono essere controllate e approfondite” manca una
traduzione del commento aggiunto da Gramsci tra parentesi “(d’altronde, tutte
queste note devono essere considerate come spunti e motivi per la memoria, che
devono essere controllati e approfonditi)”. Tale lacuna non era però dovuta ad
una svista dei traduttori, bensì alla decisione presa dalla casa editrice di
non includere materiale o commenti che avrebbero potuto sollevare dubbi tra i
lettori circa l’attendibilità dei suoi scritti e di non attirare più del dovuto
l’attenzione sull’inevitabile – radicale – provvisorietà degli scritti suoi [46].
Fu sempre una decisione editoriale quella di omettere l’ultimo paragrafo del
Q10II§61, che tratta della storia italiana, ma che ci sia una parte mancante è
indicato per mezzo di punti di sospensione nel testo (SPN, p.118). Se non
prima, questo piccolo gruppo di sviste ed omissioni sarà corretto nell’edizione
completa dei Quaderni di Joseph Buttigieg.
Occorre aggiungere un commento di spiegazione a proposito
della sistemazione degli argomenti contenuti nel volume SPN. Si è già avuta
l’occasione di citare John Cammett sulla scelta adoperata nelle prime
traduzioni in volume di non concedere sufficiente spazio alla critica gramsciana
alla filosofia idealista. Nella selezione di Hoare e Nowell Smith, le questioni
filosofiche sono trattate in mezzo ad altri argomenti, eccetto per le note
cruciali che compongono la critica a Bucharin che si trova proprio alla fine
del volume. Una decisione analoga fu presa dalla stessa casa editrice per la
collocazione della critica a Croce nel volume uscito negli anni Novanta Further
Selections from the Prison Notebooks (FSPN)[47].
A ragione o a torto tale scelta fu motivata dal timore che il pubblico
britannico avrebbe solo malvolentieri letto un volume troppo orientato, per
alcuni proprio sbilanciato, verso i problemi filosofici. E di fatto, quando
Roger Simon recensì FSPN per New Times, rivista quindicinale della Democratic
Left, principale erede allora del vecchio Partito Comunista britannico,
l’articolo uscì, con suo grande rammarico, tagliato di gran parte della
discussione di Croce[48],
che nel discorso di Gramsci è cruciale ed è asse portante anche della selezione
che compone FSPN. Finché non si recepisca il ragionamento particolare che
costituisce la sua doppia critica, sia al marxismo meccanicistico, in teoria
già parte del bagaglio culturale della sinistra intellettuale, sia alla
filosofia idealista, finora in gran parte trascurata ed inascoltata, eccetto da
un numero relativamente limitato di studiosi e/o militanti, uno degli aspetti
fondamentali che definisce l’originalità del marxismo gramsciano rischia di
rimanere parzialmente oscurato.
7. Gli anni Settanta: l’esplosione
dell’interesse per Gramsci
È passato
quasi inosservato tra gli studiosi di Gramsci il fatto che nel 1971, durante
uno dei suoi periodi d’oro, la Royal Shakespeare Company mise in scena la
commedia Occupations[49], scritta da Trevor Griffiths e
diretta da Buzz Goodbody[50]. Il titolo gioca sul doppio
senso di “occupazioni”: quelle della fabbrica e quelle dei mestieri - dei
rivoluzionari, degli operai, dei capi della FIAT ecc. – , nonché quelle dei
diversi ruoli svolti dalla donna nella nostra società. Lo spettacolo guadagnò
una certa notorietà anche per il fatto che, per la prima volta sul palcoscenico
inglese, si è completamente spogliata un’attrice, nella commedia la donna di
servizio della compagna dell’emissario del Comintern, un’aristocratica
simbolicamente morente di un cancro all’utero. Ma di grandissima importanza –
ed interesse – dal punto di vista della politica più “ortodossa” erano le scene
nelle quali Gramsci, solo sulla tribuna posta in alto sul palcoscenico, teneva
i suoi discorsi agli operai in sciopero. Altra cosa da notare sono anche i
commenti di natura personale “compagno – ammonisce il rappresentante del
Comintern – tu vuoi fin troppo bene ai tuoi operai”, parole alle quali Gramsci
risponde sottovoce, citando qui a memoria, “mi sono domandato se legarsi a una
massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno”[51].
Per la Goodbody, intellettuale e protagonista della primissima ondata del
femminismo, il personale e il politico erano le due facce della stessa medaglia
e, basandosi sulle parole testuali di Gramsci, assieme a Griffiths riuscì a
presentare una lettura di lui a migliaia di persone – di sinistra e non,
interessate al teatro, ma non molto politicizzate – nella doppia veste sia di
pensatore e dirigente rivoluzionario sia di uomo pieno di sentimenti umani,
come appare proprio dalle Lettere dal carcere.
Iniziativa editoriale che, anch’essa, presentò Gramsci sotto
i diversi aspetti della sua personalità fu la traduzione di Tom Nairn, altro personaggio
di spicco della nuova sinistra, della biografia del dirigente comunista scritta
di Giuseppe Fiori. E poi, finalmente, nel 1974, fu pubblicata per la prima
volta la traduzione di Hamish Henderson delle Lettere [52]
in due numeri della New Edinburgh Review (doppio numero seguito da un numero
singolo). In quegli anni, Henderson era diventato uno degli spiriti moventi
dietro la rinascita della gloriosa Edinburgh Review, la rivista
dell’illuminismo scozzese settecentesco associata ai nomi di Adam Smith, Adam
Ferguson, David Hume, Dugald Stewart ecc., poi risuscitata negli anni Settanta
con l’aggettivo “new”, aggiunto dai redattori al nome originale. L’editoriale
del primo di questi numeri spiega che la traduzione comprende “tutte le 218
lettere” della prima edizione del 1947 della casa Einaudi, corredata da un
articolo storico-analitico di Gwyn A. Williams, egli stesso autore nel 1960 di
uno dei primi studi accademici in inglese sul concetto gramsciano di “egemonia”[53];
naturalmente, il problema della pubblicazione su questa rivista consistette
nella sua tiratura relativamente limitata, che significò che anche ai più
interessati alla tematiche gramsciane risultò difficile trovarne una copia.
L’uscita sulla New Edinburgh Review, comunque, coincideva e
probabilmente fu aiutata dall’interesse per Gramsci, stimolato dalla traduzione
dell’ampia selezione tematica dei Quaderni SPN (v. sopra). Nel clima di
interesse intellettuale di quegli anni, i redattori della rivista sentivano
l’utilità di pubblicare sul numero successivo (n. 27) alcuni saggi su argomenti
gramsciani. Così troviamo i nomi di alcuni personaggi importanti della sinistra
britannica, quali Anne Showstack Sassoon, autrice in questo numero della
rivista di un saggio sull’analisi gramsciana del fascismo[54];
di nuovo Gwyn Williams, che fa l’autocritica del suo articolo del 1960, e qui
critica da una posizione semi-bordighiana la “vulgata” togliattiana dello
sviluppo del comunismo italiano; e, last but not least, Victor Kiernan,
grandissimo storico e critico tra i più avveduti dell’imperialismo occidentale
– vedi i commenti su di lui di Edward Said[55]
–, che contribuisce con un articolo, basato sul testo italiano dei Quaderni,
sulle Lettere appena pubblicate nonché su alcuni scritti precarcerari,
riguardante l’analisi di Gramsci dell’Islam, delle grandi religioni mondiali
non-cristiana e non-ebraica, nonché dei grandi Paesi e culture del cosiddetto
estremo oriente[56].
Quindici anni dopo l’uscita della traduzione di Henderson in questi numeri
speciali della New Edinburgh Review, e ben quarant’anni dopo l’inizio del suo
lavoro, egli fu finalmente in grado di pubblicare in volume la sua selezione,
ora rivista ed ampliata rispetto a quella degli anni Settanta. Interessante dal
punto di vista della presentazione del libro è la scelta di pubblicare il
famosissimo ritratto-profilo letterario di Gramsci scritto da Piero Gobetti
sulle pagine della sua rivista La rivoluzione liberale. Ma ancora più
interessante è la presentazione della figura del suo soggetto. Infatti, in una
ventina di pagine, Henderson riesce ad illustrare sinteticamente e
magistralmente ai suoi lettori il lato umano di Gramsci nonché l’unitarietà del
suo pensiero, spaziando dalle sue polemiche filosofiche e politiche, alla
questione del folklore, fino al nesso egemonia-subalternità-nascita della
contro-egemonia, temi ancora da approfondire appieno. Infine Henderson unifica
i diversi temi del suo saggio con due citazioni prese dalle opere di Hugh MacDiarmid,
il più importante poeta scozzese dopo Robert Burns, la cui opera risale al
tardo Settecento: nella prima di queste citazioni, il mitico vestito senza
cucitura (“The Seamless Garment”, come recita il titolo della poesia) è
paragonato all’unitarietà del pensiero di Gramsci mentre, nell’altra, il poeta
mostra di aver compreso la base e la profondità del suo pensiero, in base alla
spiegazione datagli da Henderson quando questi, nel 1949, gli aveva letto brani
dalla sua traduzione delle lettere:
That heroic genius, Antonio Gramsci, / Studying
comparative linguistics in prison, / For, as he said in his Lettere dal
Carcere, / ‘Nothing less! What could be more / Disinterested and für ewig?’ [57]
Quasi contemporaneamente alla pubblicazione edimburghese del
lavoro di Henderson, un’altra traduzione, molto parziale, delle lettere –
novantaquattro in totale – fu compiuta da Lynne Lawner, una cittadina
americana, studiosa dell’arte e della letteratura del Rinascimento[58].
A giudicare dai contenuti del libro, la casa editrice sembrava forse più
interessata allo “human interest”, e non è esente da critiche per aver provato
ad utilizzare l’ondata di interesse per Gramsci di quegli anni per scopi
commerciali più che politici. La traduzione dà segni di una mancanza di ricerca
sugli argomenti trattati, a partire della famosa storia, narrata per lettera ai
figli che vivevano con la madre in Russia, sulla famiglia di ricci, osservata
dal Gramsci bambino a raccogliere delle mele sui loro aculei; nella traduzione
il nome dell’animale, invece di “hedgehog”, diventa “porcupine” (cioè
“istrice”).[59]
Altra scelta discutibile si trova nella lettera del 22 aprile 1929: “send four
other kinds of seeds – pastinaca carrots (a nostalgic remembrance of childhood
…)”, passo nel quale non è chiaro il motivo di aver rifiutato la normale
“parsnip” per “pastinaca”. Simili debolezze ed anche errori di traduzione sono
da notare alla pagina 206 nel nome “Under the Dome” (cioè “Sotto la cupola”)
per la rubrica giornalistica di Gramsci “Sotto la mole” (“spire” sarebbe più
una scelta più adatta). Una scelta strana, condivisa però anche da Henderson,
si nota nel titolo in inglese di un famoso pamphlet di Lenin (nell’indice
“Nikolai Lenin”, come veniva spesso chiamato nei primi anni della rivoluzione),
che non corrisponde a quello in uso corrente[60].
Sia le note della traduttrice sia la terminologia adoperata nella traduzione
qualche volta mostrano una certa noncuranza: è laborioso e non sempre facile
controllare i termini tecnici o semi-tecnici e le scelte traduttive
consolidate, ma ciò fa parte del mestiere del traduttore e qui la traduzione,
all’avviso di chi scrive, è difettosa[61].
Mentre ad alcuni lettori di madre lingua inglese, compresi alcuni colleghi
gramscisti, è piaciuta la versione della Lawner, probabilmente per via dello
stile della traduzione, dalla raccolta parziale elencata qui di scelte
traduttive discutibili si può comprendere una certa perplessità riguardante
l’accuratezza della traduzione, e forse è nelle parti più politiche delle
Lettere che la traduzione lascia più a desiderare.
A queste scelte editoriali si devono aggiungere, negli anni
Settanta, due volumi degli scritti pre-carcerari, per entrambi i quali Quintin
Hoare fu coinvolto come curatore o curatore-traduttore[62]
e, verso le metà degli anni Ottanta, una selezione di scritti
letterario-linguistici, Selections from Cultural Writings [63].
Tutto ciò ha contribuito a fare di Gramsci una figura di grande autorevolezza
nel panorama intellettuale britannico. Gli scritti di Gramsci pubblicati negli
anni Settanta condussero a diverse iniziative culturali, che culminarono in un
convegno in occasione del quarantesimo della sua morte, con ospiti italiani
compresi il non ancora quarantenne Giuseppe Vacca, esponente allora della
scuola detta scherzosamente “barigina” e più tardi Direttore della Fondazione
Istituto Gramsci, e Bruno Trentin, autorevole ex-segretario generale della FIOM
e futuro segretario generale della CGIL[64].
Senza tema di smentita si può affermare che gli scritti di
Gramsci hanno avuto un loro effetto sulla politica e sul mondo intellettuale
anglofono. Sono stati discussi in diversi ambienti della sinistra e non, e sono
stati oggetto di studio e di critiche sia da coloro che erano o sono ostili al
suo lavoro sia da altri più favorevoli al suo approccio. Tra questi ultimi sono
state espresse delle critiche serie, analoghe a certe posizioni manifestate in
Italia da Norberto Bobbio. Infatti, nel 1976, in seguito alla pubblicazione
dell’edizione critica dei Quaderni da parte di Valentino Gerratana, Perry
Anderson pubblicò il saggio di The Antinomies of Antonio Gramsci [65].
Senza entrare troppo nei dettagli, l’autore critica Gramsci per ciò che egli
considera una serie di incoerenze linguistico-concettuali, non del tutto
spiegabili in base ad uno sviluppo temporale lineare dei termini. Tale critica
riguarda soprattutto il nesso concettuale società civile-società
politica-Stato-egemonia-coercizione; all’avviso di chi scrive Anderson, autore
di prestigio indiscusso, non aveva tenuto sufficientemente in considerazione
l’osservazione, che anzi qui suona come un monito, di Wittgenstein (oggetto,
tra l’altro, di aspra critica in un articolo dello stesso autore pubblicato
qualche anno prima)[66],
secondo cui le parole acquisiscono la loro accezione dal contesto specifico in
cui si trovano.
Altre critiche furono mosse a Gramsci da parte di certi
settori del comunismo “ortodosso” – cioè gli eredi della Terza Internazionale –
e anche sebbene di tipo diverso, da parte di esponenti di diverse
organizzazioni che si richiamano alla Quarta Internazionale. Nel caso di questi
ultimi, l’atteggiamento tipico è consistito nel criticare i partiti comunisti,
soprattutto quello italiano e, al suo interno, Togliatti in particolare per
aver snaturato ed addomesticato il pensiero di Gramsci. A titolo d’esempio di
quest’ultimo tipo di pubblicistica può essere citato il pamphlet Gramsci versus
Reformism di uno dei leader del Socialist Workers Party (ex-“International
Socialism”) britannico[67].
Naturalmente, altri autori trotskisti, o in ogni caso vicini al trotskismo, non
prendono posizioni semplicistiche su Gramsci e sulle sue interpretazioni da
parte di altri ambienti della sinistra caratterizzati dalla loro “apertura”
mentale.
Da parte strettamente comunista, nel senso degli eredi della
Terza Internazionale, certi leader del partito comunista britannico degli anni
Settanta erano cautamente favorevoli a Gramsci ed appoggiavano le iniziative di
alcuni appartenenti alla la nuova leva di intellettuali marxisti di quegli
anni, che consistevano, ad esempio, nel dare vita a riviste sull’Europa
Occidentale (Eurored), sulla letteratura (Red Letters) e sul nascente movimento
femminista (Red Rag), riviste i cui redattori subivano tra l’altro l’influsso delle
idee gramsciane. La commissione “Teoria ed Ideologia” del partito,
naturalmente, si occupava anch’essa di Gramsci ed alcuni tra i più prestigiosi
giovani intellettuali universitari comunisti (Bob Jessop, Gerry Leversha, Colin
Mercer, nonché intellettuali più attempati come Roger Simon), discussero
nell’ambiente della commissione sui concetti del partito, dell’egemonia, della
società civile-società politica, cultura ed ideologia, persino del linguaggio,
ecc[68].
Molto più ufficiosamente, nella prima metà degli anni Settanta esisteva anche
un “gruppo di discussione” di aderenti al partito (cioè “comunisti dissidenti”[69],
di sinistra e tendenzialmente gramsciani), che riuscì ad aprire un dibattito
sulla rivista mensile del Partito, Marxism Today, in cui furono espresse delle
critiche “da sinistra” e marcatamente anti-staliniste alla leadership
comunista, fenomeno che non si vedeva dai tempi della diaspora comunista
post-1956. Va da sé che, nel fermento intellettuale della sinistra marxista di
quegli anni, certe posizioni adottate da membri del gruppo possono essere
giudicate di “ultra-sinistra” ma, se non obbligatorio, questo passaggio è stato
piuttosto normale per i militanti di sinistra di quella generazione.
8. Gramsci e gli
studi culturali e linguistici
Ben diverso è il modo in cui l’approccio di Gramsci ha
influito nel campo degli studi prettamente culturali. Innanzitutto si può
pensare al lavoro di Raymond Williams, uno dei principali intellettuali
britannici della seconda metà del ventesimo secolo che, dopo aver militato come
studente nel partito comunista assieme a coetanei come lo storico Eric
Hobsbawm, iniziò una lunga riflessione critica sia sulla sinistra, compresa
quella comunista, sia sulla natura della cultura. A tale riguardo, il concetto
di materialismo culturale sviluppato autonomamente da Williams, e non dovuto
direttamente a Gramsci, sembra completamente compatibile con l’approccio di
quest’ultimo, fino al punto che Gwyn A. Williams (privo di legami di parentela
con Raymond) poté osservare, a proposito del volume del suo omonimo Culture and
Society 1780-1950, pubblicato solo l’anno dopo la traduzione The Modern Prince,
che “venire da Gramsci allo studio classico dell’intreccio tra valori societari
e culturali nella moderna società britannica … è sperimentare un senso peculiare
di contatto e continuità”[70].
Quindici anni dopo la pubblicazione di Culture and Society, quando Williams
aveva sicuramente letto anche Selections from the Prison Notebooks (1971), è da
notare che il titolo di quello che Edward Said chiama “il più ricco libro di
Williams” riproduce uno dei classici binomi analitici gramsciani “la città e la
campagna”[71].
Forse l’effetto più “vistoso” dell’influenza di Gramsci in
Gran Bretagna è comunque il lavoro iniziato dal Centro di Studi Culturali[72],
centro che, man mano che il suo approccio si diffondeva, divenne il “movimento”
degli studi culturali. Questo centro presto divenne un punto di riferimento per
molti giovani intellettuali di sinistra e aprì, anche attraverso la lettura di
Gramsci, un filone di ricerca molto fruttuoso sulle questioni relative al nesso
subalternità-egemonia, della cultura popolare, dell’identità etnica, di ciò che
significa “essere britannico”. Tale tematica venne posta in modo nuovo, diverso
dal passato, dopo l’attracco al porto di Londra nel 1948 della nave-traghetto,
Empire Windrush, che portava il primo gruppo di immigranti dal “Nuovo
Commonwealth”, nella fattispecie dalle isole del Mar dei Caraibi. In questa
ricerca sull’identità nazionale non passa inosservato il fatto che Hall conti,
tra i suoi avi, membri di etnie diversissime e perciò, insieme ad altri
studiosi, come per esempio Paul Gilroy (londinese di nascita, ora professore
presso l’Università di Harvard, e figlio di una delle prime immigranti
caraibiche del secondo dopoguerra), occupi una “posizione privilegiata” per
ragionare sui vari aspetti del contributo di Gramsci alle questioni di egemonia
legate mediatamente all’aspetto classista attraverso fattori di etnia.
Nonostante l’attenzione prestata a Gramsci in una serie di volumi ed articoli
scritti dai fautori dei “cultural studies”, talvolta si leggono delle
affermazioni fuorvianti che indicano una certa noncuranza nella loro lettura:
emblematica di tale svogliatezza è l’osservazione secondo cui Gramsci sarebbe
stato incarcerato a Torino, avendo l’autore scambiato “Turi” (cioè Turi di
Bari) e “Torino” (in inglese “Turin”)! Negli USA gli scritti di Gramsci sulla
cultura popolare e sul nesso egemonia-subalternità sembrano aver preso una
direzione talvolta analoga, testimonianza della quale viene dall’analisi dei
fenomeni di cultura popolari nel cinema contenuta, ad esempio, nel libro di
Marcia Landy Film, Politics and Gramsci[73],
ed anche nel campo più vasto dell’antropologia attraverso il lavoro di studiose
come Kate Crehan[74].
Naturalmente, un approccio basato unicamente sulla cultura
come tale può lasciare aperta la porta ad una lettura “post-moderna” di
Gramsci, la quale trascura o rifiuta il radicamento dell’egemonia nel rapporto
tra le classi; questo sembra caratterizzare non tanto l’interpretazione data
agli scritti gramsciani quanto l’appropriazione del pensiero di Gramsci per
leggere il periodo “post-industriale” dell’Occidente da parte di due studiosi,
Ernesto Laclau e Chantal Mouffe, entrambi intellettuali che sono stati molto
influenti in determinati ambienti di sinistra in Gran Bretagna. Una posizione
simile emerge anche dalla lettura dei numeri della rivista Marxism Today per
gli anni Ottanta: nell’ultima leva di giovani intellettuali che aderirono o
erano vicini al Partito Comunista figurano alcuni, spesso ora da ricercare nei
ranghi del New Labour blairiano, che sembrano aver gettato alle ortiche il
fattore “class” nella loro interpretazione dell’egemonia e pertanto questo loro
approccio deve essere considerato diverso da quelli basati su concetti
gramsciani[75].
Non deve stupire che, in lingua straniera, i commenti di
Gramsci sulla linguistica e sulla traduzione abbiano destato attenzione tra
diversi traduttori, linguisti e/o gramscisti. Il suo nome ormai compare sui
dizionari di linguistica in inglese[76],
è commentato in modo molto positivo da sociolinguisti come Dell Hymes ed alcuni
suoi commenti sulla linguistica e sulla traducibilità hanno lentamente
cominciato a farsi sentire soprattutto in seguito alla pubblicazione di una
selezione degli scritti linguistici sulla rivista Telos[77],
quando essa era ancora schierata a sinistra, e della scelta antologica
Selections from Cultural Writings (dove, purtroppo, “cultura” è intesa in modo
restrittivo e quasi unicamente nell’accezione di cultura letteraria). Collocato
in questo filone di studi gramsciani è, ad esempio, un articolo interessante di
Niels Helsloot[78],
linguista piuttosto che gramscista. In tale articolo, emerge chiaramente
l’originalità dell’approccio di Gramsci alla sociolinguistica, soprattutto in
merito al rapporto lingua-egemonia ed è merito dell’autore essere forse il
primo a rendersi conto della somiglianza di alcune posizioni di Gramsci con
quelle del linguista russo degli anni Venti, Valentin N. Vološinov[79].
Altro aspetto di interesse, colto anche da diversi studiosi intorno a quegli
anni, è la convergenza su alcuni argomenti tra Gramsci e Wittgenstein; di
grande interesse al riguardo l’ultimo di questo filone in lingua inglese è il
libro dell’antropologo canadese Peter Ives[80]
mentre, indipendentemente dai commenti fatti dai gramscisti, anche il premio
Nobel per l’economia Amartya Sen, grande estimatore di Sraffa che si considera
per certi versi suo allievo, ha recentemente provato ad individuare
un’influenza di Gramsci, sebbene indiretta attraverso l’economista italiano, su
Wittgenstein[81]
e perciò sulla filosofia analitica anglo-sassone.
Tirando le somme, oltre alla pertinenza del lavoro di
Gramsci alle analisi politiche e storiche (oltre ai nomi citati in questo
articolo si può anche pensare a quelli di Walter Adamson, Carl Boggs, Mitchell
Cohen, Joseph V. Femia, Eugene Genovese, Dante Germino, E. San Juan Jr.,
Cornell West e ad altri come Maurice Finocchiaro e Paul Piccone, questi ultimi
due tra i pochi ad aver scritto su Gramsci e la filosofia, o come Adam Morton e
Marcus Green della generazione più recente), la sua ricezione nei Paesi
anglofoni ha avuto un’influenza ad altri livelli ed in ben altri campi, come la
linguistica, l’antropologia, la sociologia della cultura, o gli studi
“post-coloniali”. In quest’ultimo campo, ha acquisito una sua importanza il
“subaltern studies group”, al quale è legato soprattutto il nome di Gayatri
Chakravorty Spivak, ma si trae l’impressione che gli addetti a questi studi
spesso utilizzino nozioni gramsciane di seconda mano, debolezza abbastanza
comune anche e soprattutto nella destra dello spettro politico statunitense.
L’influenza sugli storici, a partire dalla “sponsorizzazione” degli scritti di
Gramsci dal gruppo suindicato di storici marxisti britannici, sembra così ovvia
da non meritare ulteriore commento, mentre diversa sia dalla sociologia della
cultura (Stuart Hall, Raymond Williams ecc.) sia dalla critica letteraria, è
l’analisi culturale tout court svolta da Edward Said. E, dulcis in fundo, si
può ora – dopo tanti anni di trascuratezza – notare una duplice attenzione
nella cultura anglofona al fatto filosofico in Gramsci. Infatti, oltre
all’articolo di Amartya Sen, anche lo studioso statunitense Benedetto Fontana
sta compiendo un lavoro molto prezioso nel fissare la natura del collegamento
di Gramsci ad alcuni dei grandi filoni della filosofia occidentale, a partire
dalla Grecia antica, e come tale la sua ricerca è analoga a quella in cui sono
impegnati diversi gramscisti italiani: da entrambe le sponde del Nord
Atlantico, si scava sotto la superficie del discorso politico-culturale ostensibile
nei Quaderni (alla quale si è limitata gran parte della prima ricezione in
Italia di Gramsci), per mettere in luce i sottostanti strati teorici su cui il
discorso si basa. Da ultimo si può notare l’influenza di Gramsci, talvolta
indiretta, nei campi, anch’essi relativamente nuovi, degli studi subalterni (v.
sopra), dell’economia politica internazionale (IPE) e delle relazioni
internazionali (IR), caratterizzati tutti quanti dai rapporti o di egemonia o
di egemonismo, due concezioni alquanto diverse tra di loro. Sempre nell’ultimo
decennio Peter Gran, in un volume di grande originalità e portata, che non può
essere facilmente classificabile sotto queste rubriche dell’IPE e dell’IR, fa
un uso molto originale di Gramsci in un’analisi socio-storica dello sviluppo di
determinati tipi di società che sfida radicalmente le nozioni e tendenze
eurocentriche storicamente prevalenti [82].
In conclusione, si può constatare che la lettura di Gramsci nei paesi anglofoni
non è solo politica, ma si serve di altre nozioni sia dei Quaderni sia del
famoso scritto su “alcuni temi della quistione meridionale”, per trovare una
chiave di lettura dei fenomeni contemporanei.
9. Le più recenti traduzioni di Gramsci
Il volume
Selections from Cultural Writings del 1985 fu curato da due studiosi inglesi di
Gramsci, David Forgacs e Geoffrey Nowell Smith, e tradotto dall’americano
William Q. Boelhower. Esso contiene una selezione di scritti vari, fatta
prevalentemente in base ai Quaderni ma anche nel caso del primo capitolo, agli
scritti pre-carcerari; la critica teatrale nella seconda parte del primo
capitolo consiste di una scelta parziale di brani contenuti in Letteratura e
Vita Nazionale (pp. 248-387) e riordinati rispetto a LVN. Il traduttore è
specialista di lingua francese e ha tradotto molto bene Lucien Goldmann su
Lukács ma, per questi testi italiani, i due curatori hanno dovuto fare diversi
interventi quando la bozza è stata loro consegnata: la casa editrice, Lawrence
and Wishart, nonché il pubblico di lettori di Gramsci, era ormai esigente[83].
Ciononostante rimangono nel testo degli errori e sviste, non così numerosi però
quanto il testo della Lawner e non in numero tale da intralciarne la lettura.
Con più attenzione alla lettura delle bozze – sempre un problema, in
particolare per le traduzioni di Gramsci – sarebbe stato possibile evitare
l’errore sul nome del famoso giornalista degli anni Trenta, Edgar Mowrer,
riportato da Gramsci in stile semi-italianizzato come “Edgard”. Alla pagina 172
(Q23 § 40) molti lettori anglofoni troveranno di più facile comprensione
“quintessence” invece della traduzione più letterale di “fifth element” quando,
a proposito dell’egemonia culturale di Firenze, il papa Bonifazio VIII diceva
che “i fiorentini erano il quinto elemento del mondo”. Su questa scelta si può
legittimamente discutere, ma nella traduzione dello stesso paragrafo dei
Quaderni, c’è una frase interpretata veramente male: nel discutere del rapporto
lingua nazionale-dialetti, Gramsci commenta che quando gli utenti della lingua
nazionale vogliono entrare nella “realtà immediata” della parlata famigliare,
tale lingua nazionale è spesso frantumata in “tanti riflessi dialettali” e poi
continua “Oltre il tono del discorso (il cursus e la musica del periodo) che
caratterizza le regioni, sono influenzati il lessico, la morfologia e
specialmente la sintassi”. Qui il discorso è squisitamente linguistico e verte
sulla questione del modo di parlare della gente, ma la traduzione di Boelhower
tradisce questo senso e parla invece della “music of the period” (cioè “la
musica caratteristica dell’epoca” [sic!]), invece dell’intonazione del
parlante, avendo scambiato i due significati di “periodo” in italiano (in
inglese “sentence” e “age” o “era”).
Dopo la
pubblicazione di SCW, Lawrence and Wishart pubblicò un terzo volume antologico,
Further Selections from the Prison Notebooks, basato esclusivamente sui
Quaderni, cui si è già fatto cenno sopra. Il volume contiene molte note
sulla religione (non solo quella cattolica), sull’educazione “progressista”,
sull’economia politica e tendenze nell’economia mondiale, sulla scienza, sulla
traducibilità e finalmente su Croce. Lo stile di presentazione degli scritti
era cambiato rispetto anche all’edizione classica di Hoare e Nowell Smith anche
perché gli argomenti erano diversi e meno direttamente politico-storici;
toccava dare al pubblico più informazioni riguardo ai punti piuttosto oscuri lì
contenuti. Non spetta a chi scrive commentare la traduzione, ma nell’Appendice
al presente lavoro sono elencate delle correzioni che è consigliabile apportare
al testo. Un’osservazione va però fatta a proposito proprio delle nozioni
gramsciane di linguaggio e di traducibilità. In base ad un’analisi di alcuni
suoi commenti su questioni linguistiche si ritiene che, quando Gramsci
introduce la nozione di “linguaggi filosofici e scientifici”, egli stia in
verità discutendo di quelli che, nei concetti introdotti da Thomas Kuhn,
possono essere chiamati “paradigmi” e, pertanto, pone la questione della
traducibilità tra “linguaggi” nel senso pieno del termine, cioè di “[technical]
languages” e non nel senso debole di “idiomi” cioè di “idioms”, come viene
riportato nelle traduzioni di Putnam e di Marzani (v. sopra)[84].
Tale approccio sta alla base del rinnovo del marxismo, attraverso la
reinterpretazione realista e la successiva incorporazione di concetti altrui,
svolti sia da Gramsci stesso sia da altri, e rende queste operazioni ancora più
profonde e più scientificamente rigorose di quanto pensava Marzani quando,
rendendosi conto della teorizzazione di Gramsci dei metodi di rinnovo e di
sviluppo dei discorsi teorici (filosofici e scientifici), fece la scelta di
intitolare il suo volume The Open Marxism of Antonio Gramsci.
Contemporaneamente alla preparazione di FSPN, il collega ed
amico Joseph A. Buttigieg, segretario della International Gramsci Society,
cominciava la sua traduzione integrale dell’edizione gerrataniana dei Quaderni
del 1975[85],
coadiuvato da Antonio Callari, lavoro che continua con il ritmo lento che
affligge tutti coloro che non fanno parte di una équipe[86].
Del lavoro paziente, scrupoloso e autorevole di Buttigieg che presenterà i
quaderni nell’ordine numerico a seconda della data di inizio di ciascuno di
essi[87],
sono debitori tutti i gramscisti anglofoni. Al tempo stesso, vale la pena di
aggiungere che la sua edizione non è in competizione, ma anzi è complementare,
alla serie tematica di Lawrence and Wishart (e dei loro diversi consociati
statunitensi), che rappresenta un punto di ingresso nell’universo gramsciano
probabilmente più accessibile al lettore normale, politicizzato ma non
necessariamente specialista.
Un’altra traduzione merita di essere menzionata, cioè il
libro intitolato Pre-Prison Writings[88],
di pubblicazione abbastanza recente, da non confondere con i volumi su questo
argomento editi dalla casa editrice Lawrence and Wishart. Esso fa parte della
collana di testi della Cambridge University Press sulla storia del pensiero
politico e con questa pubblicazione Gramsci sembra essere entrato nel Gotha
(almeno quello britannico) degli “scrittori classici”; si può solo auspicare
che tale elevazione non sia il segno di un desiderio di certi accademici di
metterlo su un piedistallo al di sopra dell’arena dello scontro politico, come
è stato tentato forse in più di un’occasione in Italia. Il grande pericolo ora
sembra proprio di questa natura: che si possa tranquillamente discutere di
Gramsci e pubblicare tomi su di lui negli ambienti accademici purché tale
lavoro non venga a contatto con il mondo della politica e della vita reale di
ogni giorno.
Per concludere questa rassegna si deve fare un commento
sulla pubblicazione delle lettere di Gramsci. In primo luogo, dopo le due
edizioni parziali delle Lettere dal carcere, nel 1994 è uscita l’edizione
completa[89],
che ha colmato una grande lacuna per quanto riguarda le lettere carcerarie. Chi
scrive non ha molte osservazioni da fare sulla qualità della traduzione eccetto
che in un posto, dove per la formulazione ben consolidata e corretta
“historical bloc” il traduttore, stranamente, ha scelto il sintagma “historical
complex”, e che, secondo il curatore del volume, qualche volta la scelta dei
tempi verbali da parte del traduttore rispecchia troppo “fedelmente” quella
italiana, e perciò, vista la diversità su questo aspetto delle due lingue, il
testo non è sempre del tutto convincente e il lettore può essere tratto in
inganno[90].
Delle scelte lessicali troppo
letterali, problema che affligge tutti i traduttori di Gramsci si è già fatto
cenno sopra. Emblematico di questo problema è l’uso di “qualificato” (per
descrivere un traduttore) che il prigioniero fa in una lettera alla moglie
Julka, essa stessa traduttrice a Mosca; al posto della traduzione letterale
“qualified”, come se si trattasse di un albo professionale, al parere di chi scrive
è consigliabile capire “skilled”, l’equivalente di “qualificato” in altri
contesti. Molto meno note delle Lettere dal carcere sono invece le
lettere precarcerarie, pubblicate in volume solo nel 1992[91].
Questa serie di lettere, che ovviamente sarà integrata nell’eventualità che
altre vengano scoperte, è utile per ampliare la biografia politico-personale di
Gramsci, dai tempi in cui era a scuola fino all’arresto, per capire meglio la
storia politica della prima metà degli anni Venti e anche per meglio capire le
origini e lo sviluppo di certi concetti e filoni del pensiero di Gramsci
stesso. Finora è uscita una selezione di tali lettere in tedesco[92],
redatta contemporaneamente all’edizione italiana, mentre è ora in preparazione
un’edizione in inglese, con le solite riserve sui tempi lenti coinvolti per la
pubblicazione.
10. Appendice: elenco delle modifiche da
apportare al testo di Further Selections from the Prison Notebooks
Alcune osservazioni sono già state fatte sopra sulla scelta,
per certi versi forse discutibile, di collocare la parte sulla filosofia alla
fine del volume, ma per motivi editoriali essa è stata obbligatoria. Più
problematica è la divisione operata tra i diversi argomenti: malgrado lo spazio
dedicato all’argomento della subalternità manca in FSPN, come per il momento in
altri volumi tematici, un tentativo di fornire una scelta ragionata ed ampia su
tale argomento. Visto il dibattito attualmente in corso nei campi indicati
verso la fine di questa rassegna, sarebbe stato certamente opportuno includere
un capitolo appositamente sulla subalternità ma tale scelta avrebbe reso ancora
più lungo un volume già al limite dell’ampiezza consentita dalla casa editrice.
Diversi commenti, qualche volta critici, sono stati fatti in
questo articolo sulle traduzioni altrui. Altri saranno in grado di commentare e
giudicare la traduzione dell’antologia FSPN eseguita da chi scrive. Essa segue
le scelte traduttive stabilite in ciò che ormai è un canone gramsciano.
Comunque è da notare, su un punto del discorso economico di Gramsci, che la
scelta effettuata in FSPN è “determinate market” per “mercato determinato”,
seguendo indicazioni contenute nella letteratura economica dell’inizio
dell’Ottocento, mentre Hamish Henderson, d’altra parte, in un contesto simile
preferisce “equilibrium market”; l’amico Pat Devine, docente di economia presso
l’Università di Manchester nonché lettore molto attento di Gramsci, è
dell’opinione che la soluzione di Henderson, anche se apparentemente diversa
dall’originale, sia sostenibile (v. FSPN, nota del traduttore, p. x-xi e note 1
e 2, p. 507).
È utile qui includere una lista di errori nel volume FSPN;
da tale elenco sono omessi i problemi della divisione delle parole alla fine
delle righe, occasionali ripetizioni di parole, e i banali refusi tipografici, più
comuni al tempo in cui fu eseguita la traduzione – e cioè quando mancava lo
spellchecker incorporato nel sistema di videoscrittura –; la correzione delle
bozze è risultata molto più complessa di quella fatta nel caso di molti libri e
perciò è comprensibile che certe cose siano sfuggite. Dalla lettura del testo,
integrata dagli appunti di chi scrive, si notino i punti che seguono.
p. xiii: Il volume comincia male a causa di una lettura
erronea delle bozze finali in tipografia; infatti, a metà degli anni Novanta,
il numero di articoli, libri ecc. su Gramsci ammontava a più di 10.000 (nel
2005 quasi 15.000), non circa 100.000, errore ripetuto purtroppo in una
recensione del libro;
p. 60: “Höpker-Aschoff” è preferibile alla forma
“Hoepker-Aschoff”, trascritta nei Quaderni e ripresa in FSPN;
p. 79: dopo la riga 7, per motivi di uniformità stilistica,
è preferibile includere la traduzione inglese del titolo del libro citato e
cioè “The discoveries of the Jesuit Fr Rosa, successor to Von Gerlach”;
p. 83, riga 19: il soggetto della frase è, per la verità,
“irruption” e non “new nationalisms”. Il verbo, perciò, dovrebbe essere “is”, e
non “are”; similmente alla riga 20 il verbo dovrebbe essere “makes” e non
“make” mentre, alla riga 27 invece di “concession” (singolare) dovrebbe
figurare il plurale “concessions”;
p. 84, riga 6: la parola “sic” dovrebbe essere, come
normalmente avviene in inglese, in corsivo; la stessa correzione vale anche per
la pagina 106 (riga 13);
p. 86, riga 17: il nome della rivista citata è “Ronda”
(italiana) non “Ronde” (francese)
p. 98,
righe 12 e 13 dal basso: il discorso forse risulta più chiaro se si legge che
la lotta religiosa “does not mean that for Maurras the question could be
anything except solely political and social”;
p. 162: nella prima riga del secondo capoverso non ci
dovrebbe essere la virgola dopo “was”;
p. 163, riga 3: “pp. xxxv, xliii-xlv” non semplicemente “p.
xliii-xlv”;
p. 197: c’è una discrepanza tra due spelling diversi nella
stessa pagina, cioè “bloc” e “block”; la forma corretta in questo contesto è
palesemente “bloc”;
p. 256, riga 23 del testo del Q6§135: “stratum” non
“stratums”;
p. 294: nel cognome “De Pietri Tonelli” non ci dovrebbe
essere un trattino;
p. 341, riga 11 dal basso: non “Vincenzo Cuoco’s formula”
bensì “Vincenzo Cuoco’s critical formula”
p. 372 (testo e nota 12 al testo): il discorso di Calogero,
riportato da Gramsci, risulta più chiaro al lettore inglese se il verbo tedesco
sollen viene glossato con ought, usato nelle traduzioni inglesi di Kant.
p. 381,
riga 12 dal basso: la glossa dovrebbe leggersi “nature does not proceed by
leaps”, non “history does not proceed by leaps”;
p. 392,
riga 14 del Q10II§56: “a present injury” non “an injury present”;
p. 400,
riga 4: “given by the concept”, non “given the concept”; alla riga 6 dal basso
è piuttosto ovvio che si dovrebbe leggere “objections” al posto di “objects”;
p. 447 e p. 452: il titolo della traduzione inglese del
libro di Henri de Man è Joy in Work, non come erroneamente scritto, seguendo la
trascrizione di Gramsci, Joy of Work.
p. 454: nella prima riga la traduzione “commendation” per
“lodo”, sebbene non sbagliata in questo contesto non giuridico, forse avrebbe
potuto essere migliorata rendendo l’italiano con “judgment”;
p. 476, riga 2 del testo: “p. xvi”, non “p. xx”.
p. 510: in questi casi dove è presente una citazione dentro
un’altra citazione, ci vogliono le virgolette doppie, non singole, intorno alle
parole classical economy (riga 6 della nota 26) e through marginal utility
(riga 9 della stessa nota);
p. 530: nella nota 83, è ovvio per motivi cronologici che il
papa Pio menzionato è Pio X e non Pio XI;
p. 573: per motivi di uniformità nella nota 25 il titolo
“Philosophy, Religion, Politics” dovrebbe essere compreso tra virgolette
singole e non riportato in corsivo;
p. 594: nell’indice dei nomi, cancellare “94” nel
riferimento a Loisy e sotto il nome “Machiavelli” si legga “xxxv-vi” non
semplicemente “xxxv”;
p. 597 (ed anche pp. 381 e 573): lo scrittore francese è,
naturalmente, “Sainte-Beuve” e non “Saint-Beuve”.
Ringraziamenti
Per la ricerca svolta per ultimare questo articolo, l’autore
ha usufruito dei fondi di cofinanziamento dell’Università di Bologna e del
Dipartimento di Studi Interculturali su Traduzione, Lingue e Culture (SITLeC)
del progetto pluriennale “La traduzione come luogo di incontro e di scontro”,
mentre nella prima fase sono stati utilizzati dei fondi su un progetto
dell’ex-60% sull’identità nazionale all’interno dello stesso Dipartimento.
L’autore ringrazia la Dott.ssa Sabrina Fusari per la sua revisione linguistica
dell’articolo.
L’articolo è dedicato alla memoria di Mary Ann (Buzz)
Goodbody, regista teatrale che contribuì alla diffusione del pensiero
gramsciano in Gran Bretagna, in occasione del trentesimo anniversario della sua
morte prematura nella primavera del 1975.
Note
[1] Per alcuni dei primi riferimenti a Gramsci sulla stampa e nella
pubblicistica britannica, v. l’articolo di chi scrive “The British Press on
Gramsci’s Trial” in Counter-Hegemony, University of Reading : Reading, No.8,
2003, pp. 52-66.
[2] David D. Roberts, “Croce in America: Influence, Misunderstanding and
Neglect” in Humanitas, National Humanities Institute : Washington D.C., Vol.
VIII, No.2, 1995 (consultabile in linea a www.nhinet.org/roberts.htm); tarderà ad arrivare l’influenza di Gramsci
in quella parte dell’America omessa nel commento di Roberts, cioè l’America
Latina, ma dagli anni Novanta è diventata importantissima soprattutto in
seguito alla traduzione dei Quaderni sia in spagnolo sia in portoghese.
[3] David Forgacs, “Gramsci and Marxism in Britain” in New Left Review,
I/176, luglio-agosto 1989, pp. 70-88. L’articolo di Forgacs è lo studio
più ampio ed autorevole dell’influenza di Gramsci in Gran Bretagna fino alla
fine degli anni Ottanta. Oltre alla bibliografia gramsciana a cura di John
Cammett (Bibliografia gramsciana, Istituto Gramsci : Roma 1989; Bibliografia
Gramsciana. Supplement Updated
to 1993, Fondazione Istituto Gramsci e Regione Lazio Assessorato alla Cultura :
Roma 1993) con aggiornamenti in linea (v. infra) presso http://www.italnet.nd.edu/gramsci/; Questa bibliografia trae le sue
origini dall’appendice contenuto nel libro di Cammett, Antonio Gramsci and the
Origins of Italian Communism, Stanford University Press : Stanford 1967; per
Gramsci in inglese fino al 1977 vedasi anche l’opuscolo a cura di Phil Cozens,
Twenty Years of Antonio Gramsci, Lawrence and Wishart : London 1977 mentre per
una rassegna del periodo 1957-82 v. Geoff Eley Reading Gramsci in English. Some
Observations on the Reception of Antonio Gramsci in the English-Speaking World,
1957-1982, CRSO Working Paper 314, Ann Arbor, Michigan : Center for Research on
Social Organization 1984, pp.49 + 29 e, in forma alternativa (con lo stesso
titolo), nella European History Quarterly, 4, 1984, pp. 441-78.
[4]
Cifre annunciate da John Cammett il 22 aprile 2005 nel corso del suo discorso
al seminario di presentazione dell’aggiornata Bibliografia Gramsciana dal 1922,
a cura di John Cammett, Maria Luisa Righi e Francesco Giasi; la versione
database interrogabile sarà presto disponibile in linea presso il sito della
Fondazione Istituto Gramsci. Cammett ha citato anche un’indagine dell’UNESCO di
alcuni anni fa dalla quale risultò che, tra gli autori italiani vissuti dal
Seicento in poi, Gramsci è uno dei cinque scrittori italiani più citati a
livello mondiale.
[5] Per le diverse interpretazioni, v. ad esempio, Benedetto Fontana,
Hegemony and Power: On the Relation between Gramsci and Machiavelli, Minnesota
University Press : Minneapolis, 1993, pp.2-3.
[6] Secondo C.J.S. Sprigge (Croce, Bowes and Bowes : Cambridge, 1952 [ma
scritto nel 1950], p. 5) Croce era riconosciuto universalmente come “the most
eminent Italian man of letters”; Croce era così di moda nei circoli
intellettuali-letterari che, in un suo romanzo satirico il ben noto autore
Anthony Powell osserva che, in un sanatorio, “there are readings from Croce in the
evening. It’s terrible if you don’t understand Italian. You’re made to listen
just the same” (Afternoon Men, Heinemann : London, 1974 [19311], p.93).
[7] Emblematici sono i volumi Politics and Morals, trad. ingl. di Salvatore
J. Castiglione, Allen & Unwin : London e Philosophical Library : New York,
1946 (tratto in parte da Elementi di Politica e in parte da Aspetti morali
della vita politica, Laterza : Bari 1925) e Giuseppe A. Borgese Benedetto
Croce, Edizioni Controcorrente : Boston, 1946). Nel solo 1944 si contano
almeno una mezza dozzina di scritti su Croce sulle riviste intellettuali
statunitensi, compreso “Croce and Italian Liberalism” sul numero di Politics
uscito nel giugno del 1944, rivista all’epoca legata a di quella sinistra
statunitense, una volta vicina al marxismo per poi diventarne aspramente
critica e, nel caso di alcuni redattori (ad esempio Dwight Macdonald), passare
notoriamente alla destra. È anche da notare, naturalmente, il famoso scambio
epistolare tra Croce ed Einstein.
[8]
Vincitore del Premio Söderström, trasformato quasi subito dopo nel Premio Nobel
per l’economia.
[9]
Commenti di Sraffa, ora in Piero Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci, a cura di
Valentino Gerratana, Editori Riuniti : Roma 1991, p. 72 (lettera del 21 giugno
1932); i commenti sono poi trascritti da Tania con qualche variante ininfluente
nella sua lettera ad Antonio del 5 luglio 1932 ora in Antonio Gramsci – Tatiana
Schucht, Lettere 1926-1935, a cura di Aldo Natoli e Chiara Daniele, Einaudi :
Torino, 1997, p. 1041.
[10] v. “Benedetto Croce and his concept of liberty”, Science and Society,
Vol. X (1946), 283-93, trad. ingl. di Samuel Putnam; le lettere tradotte
sono quelle a Tania scritte il 18 aprile (non il 13, come riportato sulla
rivista), il 25 aprile, il 2 maggio, il 9 maggio e il 6 giugno del 1932, e
risalgono perciò ad uno dei periodi più produttivi del lavoro del prigioniero.
[11]
Diversi studi a partire dagli anni Ottanta hanno dimostrato che certi termini,
in particolare “filosofia della praxis” [o “della prassi”] al posto di
“marxismo” o “ materialismo storico” da una parte, e “blocco storico” al posto
della coppia “struttura” [“base”] e “sovrastrutture” (e le sue varianti
ortografiche) dall’altra, entrambe spesso trovate dopo la metà del 1932 nella
fase di seconda stesura delle note, sono frutto di un ripensamento e di una
rielaborazione da parte di Gramsci delle rispettive categorie. In modo del
tutto comprensibile, Putnam segue i primi curatori delle opere gramsciane nel
ritenere che “filosofia della prassi” non sia altro che una circonlocuzione per
aggirare la censura carceraria.
[12] “Historic bloc” sottolinea l’importanza del blocco invece del processo
storico nel quale il blocco stesso è formato; v. la nota del traduttore in
Further Selections from the Prison Notebooks, Lawrence & Wishart : London e
Minnesota University Press : Minneapolis, 1995, pp.xi-xii e lo scambio di
opinioni tra chi scrive (“A note on the evolution – and translation – of some
key Gramscian terms”) e il principale traduttore tedesco dei Quaderni, Wolfgang
Fritz Haug (“Gramsci’s ‘Philosophy of Praxis’”), in Socialism and Democracy,
Vol. 14, 1 e 2 (Numeri 27 e 28), pp. 1-19 e 115-30 rispettivamente. Solo
in due luoghi Gramsci sembra far coincidere i due significati di “blocco
storico”, cioè nel paragrafo 23 del Quaderno 13, quando scrive di un ipotetico
blocco politico-economico del futuro e nella prima stesura (Quaderno 9,
paragrafo 40) di tale nota. Purtroppo il sintagma “historic bloc” è comune
nella letteratura secondaria in inglese e risale almeno alla traduzione di un
saggio di Michel Bosquet, allora una figura popolare negli ambienti della nuova
sinistra europea; v. il suo “Aspects of Italian Communism” nell’annuario The
Socialist Register, Merlin Press : London 1964, pp. 82-91, trad. ingl. di
Charles Posner.
[13] “Marxism and Culture in Italy” in The Times Literary Supplement, August
28, 1948. Stranamente il recensore, palesemente non comunista, ripete
un’affermazione riportata sul numero del settimanale di sinistra, il Sunday
Worker, pubblicato durante il processo di Gramsci vent’anni prima, cioè che
egli era un professore universitario (“the young Sardinian lecturer at Turin
University”).
[14]
Cfr. la lettera di Pollitt a Sraffa del 13/1/48, conservata nell’Archivio
Sraffa a Cambridge. Devo queste informazioni all’amico Nerio Naldi che ora sta
ultimando un libro su Sraffa.
[15] W. Hilton-Young The Italian Left: a History of Political Socialism in
Italy, Longman’s : London 1949, pp.142-5. L’autore presto smise di usare la
prima parte del suo cognome e divenne Wayland Young (in seguito Lord Kennett),
sotto-segretario nel governo Wilson degli anni Sessanta ed uno dei maggiori
esperti europei in materia di controllo degli armamenti nucleari; negli anni
Ottanta passò al Social Democratic Party, scissione a destra dal partito
laburista. Qualitativamente, c’è un grande distacco tra il suo lavoro
pregevole sul disarmo ed i suoi commenti sui protagonisti della sinistra
comunista italiana.
[16]
Per chi non lo conosca, vale la pena di trascrivere il tributo che Croce fece a
Gramsci nella sua recensione alla prima edizione delle Lettere dal carcere. In
essa Gramsci è descritto come uno che “appartiene anche a chi è di altro od
opposto partito politico e gli appartiene per duplice ragione: per la riverenza
e l’affetto che si provano per tutti coloro che tennero alta la dignità
dell’uomo e accettarono pericoli e persecuzioni e sofferenze e morte per un
ideale, che è ciò che Antonio Gramsci fece con fortezza, serenità e semplicità
… e perché come uomo di pensiero egli fu dei nostri, di quelli nei primi
decennî del secolo in Italia attesero da formarsi una mente filosofica e
storica adeguata ai problemi del presente”, I quaderni della “Critica”, III,
n.8, 1947, ora in B. Croce, Scritti e discorsi politici, Laterza : Bari 1963,
415.
[17] Mario Einaudi, “Western European Communism: a Profile”, American
Political Science Review, marzo 1951, pp. 185-208.
[18]
Un spia, tra molte altre, della situazione ideologica dell’epoca viene anche da
altre fonti. Infatti, già intorno ai primi anni Cinquanta la casa editrice del
CPGB rifiutò la pubblicazione del volume Mental and Manual Labour di Alfred
Sohn-Rethel, l’ultimo della vecchia generazione della scuola di Francoforte,
perché, secondo Emile Burns, uomo di grande cultura e al tempo stesso ideologo
di partito “vecchio stile”, il libro avrebbe provocato confusione tra gli
iscritti (testimonianza resa a chi scrive da Sohn-Rethel durante un incontro a
Birmingham nei primi anni Settanta tra membri di circoli di comunisti “di
sinistra”); per una conferma, si veda la prefazione alla traduzione in
italiano, a cura di Vera Bartolino e Francesco Coppellotti, del suo Lavoro
mentale e lavoro manuale, Feltrinelli : Milano 1977.
[19]
Henderson fu combattente nella Seconda Guerra Mondiale a fianco dei partigiani
italiani, per essere in seguito espulso dall’Italia in un rigurgito di
bigottismo di stampo scelbiano-maccartista. La ricostruzione contenuta nel
presente articolo è fatta in base alle testimonianza orale, resa a chi scrive
da iscritti del periodo alla sezione universitaria di Glasgow del Partito
Comunista britannico negli anni Cinquanta; ci possono essere esagerazioni nella
ricostruzione ma chi conosce l’ambiente riconoscerà un fondo di verità. Vedasi, ad esempio, la descrizione
di Henderson del Ceilidh nella sua ricostruzione della “Edinburgh People’s
Festival”, un evento che dette luogo alla Fringe Festival odierna, ora in A
Weapon in the Struggle: The Cultural History of the Communist Party in Britain,
a cura di Andy Croft, Pluto Press : London 1998, pp.163-70.
[20] The Modern Prince and Other Writings, Lawrence and Wishart : London
1957, pp.192. L’atmosfera della casa editrice in quel periodo è molto
ben descritta da Doris Lessing, allora una sua dipendente, nel suo romanzo
semi-autobiografico The Golden Notebook, Michael Joseph : London 1962, in parte
un roman à clef nelle cui pagine si vedono diversi personaggi della nuova
sinistra di allora.
[21]
Le fonti di tali informazioni, assieme ad altre sulle scelte e sui rapporti tra
l’editore londinese dei Notebooks e l’Istituto Gramsci sono sempre i vari
dipendenti e mebri del consiglio d’amministrazione della Lawrence &
Wishart, in particolare l’amico Stephen Hayward; per la conferma dalla parte
italiana, cfr. Fiamma Lussana “Le edizioni, le traduzioni e l’impegno per la
diffusione di Gramsci” in Il "lavoro culturale". Franco Ferri
direttore della Biblioteca Feltrinelli e dell'Istituto Gramsci, a cura di
Fiamma Lussana e Albertina Vittoria, Roma : Carocci 2000, 239-298.
[22]
Gli articoli erano quello comparso su Marxism Today (Vol. 1 no. 2, novembre
1957, pp.61-2), di George Thomson, e, sulla New Reasoner (No. 4, primavera
1958, pp. 107-13), di Christopher Hill, storico del Seicento inglese e
portavoce principale, al Congresso speciale del PC britannico nel 1957, della
minoranza che esigeva una riforma radicale della struttura e della democrazia
interna del partito. Dopo lo “scisma” sino-sovietico degli anni Sessanta Thomson
divenne il principale intellettuale britannico schierato a fianco dei cinesi,
con l’ovvia eccezione di alcuni sinologhi di sinistra come Joseph Needham,
biologo e principale autore del multi-volume History of Science and
Civilization in China, Cambridge University Press : Cambridge, 1954-presente.
[23] “Antonio Gramsci” di Fred Hallett (John Cammett), Political Affairs,
Vol. 36 (1958), No. 4, pp. 55-9.
[24] Argomenti trattati in seguito nel libro di Cammett, Antonio Gramsci and
the Origins of Italian Communism, op.. cit., volume apripista per la
figura di Gramsci nella cultura anglofona, soprattutto quella statunitense.
[25] The Open Marxism of Antonio Gramsci (trad. ingl. di Carl Marzani),
Cameron Associates : New York, 1957, pp. 64.
[26]
Testimonianza orale di Frank Rosengarten, curatore della edizione completa in
inglese delle Letters from Prison, con ulteriori informazioni pubblicate
nell’articolo di Nico Perrone “Sono solo un antifascista. La vita di Carl
Marzani”, La Rinascita della Sinistra, 9 marzo 2001, p.22.
[27]
Cioè le ben note frasi ed abbreviazioni “filosofia della praxis”, “mat. stor.”,
“fondatori della filosofia della praxis”.
[29] H. Stuart Hughes, “Gramsci and Marxist Humanism” in Consciousness and
Society: the Reorientation of European Social Thought 1890-1930, McGibbon and
Kee : London 1959, pp.96-104.
[30] La traduzione fu anche ripubblicata come pamphlet, sotto lo stesso
titolo “Soviets in Italy”, dall’Institute for Workers Control (Nottingham),
organizzazione legata alla Bertrand Russell Peace Foundation e che riscuoteva
consensi in certi ambienti della sinistra sindacale.
[31] Oltre all’articolo di Bosquet (v. sopra), il Socialist Register in
quegli anni pubblicò anche gli studi importanti di John Merrington “Theory and
Practice in Gramsci’s Marxism”, 1968, pp. 145-76, Victor Kiernan “Gramsci and
Marxism”, 1972, pp. 1-34 and Alastair Davidson, “Gramsci and Lenin, 1917-1922”,
1974, pp.125-50.
[32]
Communism in Italy and France, a cura di Donald L.M. Blackmer e Sidney Tarrow,
Princeton University Press : Princeton 1975; v. in particolare il capitolo
introduttivo di Blackmer (la questione del Vaticano), di Georges Lavau (la
politica culturale del PCF) e quello di Tarrow “Adattamento e Trasformazioni”
dentro il PCI (la strategia delle alleanze); per la versione italiana v. Il
comunismo in Italia e Francia, Etas Libri : Milano 1976, edizione aggiornata a
cura di Alessandro Pizzorno e trad. ital. di Elisa Baruffi e Pablo Pistoi.
[33] Grant Amyot, The Italian Communist Party. The Crisis of the Popular
Front Strategy, Croom Helm : London 1981 e Crispin Shore, Italian Communism.
The Escape from Leninism, Pluto Press : London e Concord (MA), 1990.
[34] v. Neil McInnes, “Antonio Gramsci” in Survey: A Journal of Soviet and
East European Studies, no. 53, ottobre 1964, pp. 3-15, nonché il suo “A caricature
of Gramsci” in Politics, Vol. 4, maggio 1968, 112-8, e la risposta di Alastair
Davidson, “Gramsci – caricature or unpalatable picture?”, Politics, Vol. 5,
novembre 1969, pp. 207-11.
[35]
La Bibliografia gramsciana e il suo primo supplemento, op. cit., elencano una
ventina di pubblicazioni di Davidson a cominciare dal 1964.
[36] Alastair Davidson, Antonio Gramsci: Towards an Intellectual Biography,
Merlin Press : London 1977 e The Theory and Practice of Italian Communism,
Vol.1, Merlin Press : London 1982.
[37] Ernst Fischer, The Necessity of Art, trad. ingl. di Anna Bostock,
Penguin : Harmondsworth, 1963, pp. 39-40 (originariamente Von der Notwendigkeit
der Kunst, Verlag der Kunst : Dresden, 1959); la lettera di Gramsci a Tania
citata da Fischer e qui citata in originale è del 15 febbraio 1932. Qualche
anno prima di Fischer, il grande critico e teorico teatrale statunitense Eric
Bentley osservò a che Gramsci si deve “the keenest theatre criticism I know of
in Italy” (“la più acuta critica teatrale che io conosca in Italia”); v. il suo
articolo “The Italian Theater”, The New Republic, CXXIX, 10 (5 ottobre 1953),
18-20, citato in Cammett, Antonio Gramsci and the Origins of Italian Communism,
op. cit., p.232.
[38] Franz Marek, Philosophy of World Revolution, trad. ingl. di Daphne
Simon, Lawrence and Wishart : London e International Publishers : New York
1969, pp. 35-7 e anche p.46 (originariamente Philosophie der Weltrevolution,
Beitrag zu einer Anthologie der Revolutiontheorien, Europa Verlag : Wien 1966).
Per le informazioni, sia quelle citate nel testo sia altre su Marek
(Feuerlich), v. l’autobiografia di E.J. Hobsbawm Interesting Times, Allen Lane
: London 2002, pp. 141-3. Va notato che uno dei pochissimi articoli in inglese
di quegli anni su Gramsci e la filosofia fu pubblicato nell’ex-Jugoslavia, come
è prevedibile dalla rivista di punta del fermento intellettuale che allora
caratterizzò tale Paese: Mihailo Markovic: “Gramsci and the Unity of Philosophy
and Politics”, Praxis 3, 1967, 323-39.
[39] A. Gramsci Selections from the Prison Notebooks, traduzione e cura di
Quintin Hoare e Geoffrey Nowell Smith, Lawrence and Wishart : London ed
International Publishers : New York, 1971, pp. pp. xcvi + 483. Hoare,
membro di una famiglia dell’aristocrazia intellettuale britannica famosa tra
l’altro per la sua omonima banca d’affari, è uno dei più illustri traduttori
del suo Paese mentre Nowell Smith è autore di diverse pubblicazioni sulla
cultura italiana, soprattutto quella cinematografica, nonché persona più che
abile a raccapezzarsi con i testi filosofici, grande vantaggio per un
traduttore di Gramsci.
[40]
Tra i concetti più importanti si può pensare alla questione della
“subalternità” – del genere femminile al genere maschile, e dei Paesi coloniali
o ex-coloniali ai Paesi metropolitani – , che trae parte rilevante della sua
origine dagli scritti di Gramsci sui rapporti Nord-Sud e città-campagna in
particolare.
[41]
Roger Simon (v. il necrologio scritto da Pat Devine “Remembering Roger: A
Political Profile of Roger Simon” International Gramsci Society Newsletter No.
13, 2003, pp. 5-7) fu, attraverso le sue pubblicazioni, alcune firmate con il
il nom-de-plume James Harvey, compresi il libro Gramsci’s Political Thought
(Lawrence and Wishart : London, 1982) e il suo lavoro instancabile di
consulente editoriale, un personaggio di primo piano nel diffondere le idee di
Gramsci in Inghilterra. Rampollo di una famiglia democratica francofortese,
andata in esilio a Manchester dopo gli eventi del 1848, ereditò dal padre il
seggio nella Camera dei Lords britannica, ma come avversario del sistema
ereditario non lo occupò mai. Dopo il 150° anniversario della sconfitta delle
forze democratiche in Germania, e quando, dopo la caduta del muro di Berlino,
ritenne che la situazione tedesca potesse essere considerata normale e stabile,
Roger, assieme al fratello Brian, noto pedagogista e storico dell’educazione,
prese la decisione di restituire a Francoforte il grande sigillo della città
che un loro avo, nominato segretario del consiglio cittadino, aveva portato via
per salvaguardarlo dalle forze di reazione.
[42]
È noto che quando Marx scriveva in francese (ad esempio La misère de la
philosophie) si poneva questo stesso quesito e usava “ensemble” quando non
voleva usare l’equivalente a “Totalität” in un senso non-tecnico (cioè
non-hegeliano).
[43]
Schierate a sinistra erano da annoverare le case editrici Lawrence and Wishart
(del Partito Comunista), la NLB della New Left Review (che più tardi divenne
Verso), la Merlin Press, casa indipendente sotto la guida del comunista Martin
Ede, che pubblicò György Lukács, e la Pluto Press già del Socialist Workers
Party (organizzazione semi-trotskista), ma pochi erano gli altri editori che
prestavano particolare attenzione alla sinistra; prevedibilmente il Partito
Laburista è del tutto assente dalla scena editoriale.
[44] Cfr. il contributo di chi scrive “A Note on Two Omissions from the
Current English Translation of Gramsci’s Notebook No. 12: the Question of the
Intellectuals in the United States”, IGS Newsletter No. 14, December 2004,
pp.14-16.
[45] Cfr. la scelta insindacabile di “historical materialism” per
“historisch Materialismus”, e mai “historic materialism” eccetto in alcune
delle primi(tivi)ssime traduzioni di Marx.
[46] Informazioni date a chi scrive dall’editore della Lawrence and Wishart
che ha supervisionato il volume Further Selections from the Prison Notebooks,
uscito nel 1995; in tale volume, usando un sotterfugio si accettò di includere
(a malapena) un avvertimento simile, che sui Quaderni si trova all’inizio del
Quaderno 11 e, in forma analoga, nel paragrafo 16 del quaderno 4.
[47] A. Gramsci, Further Selections from the Prison Notebooks, traduzione e
cura di Derek Boothman, Lawrence and Wishart : London e Minnesota University
Press, Minnesota, 1995; versione elettronica assieme a SPN, ad altre traduzioni
di Gramsci e a Roger Simon, Gramsci’s Political Thought, Lawrence and Wishart
ed ElecBooks : London 1999.
[48]
Lettera di Roger Simon a chi scrive, con accluso il testo integrale della
recensione.
[49]
Occupations fu rappresentata a “The Place”, uno dei teatri londinesi utilizzati
allora dalla RSC; essa compare nella Bibliografia Gramsciana: Supplemento
updated to 1993, op.cit. sotto il nome del commediografo Griffiths. Il cast era
eccezionale: nel ruolo di Gramsci ci fu Ben Kingsley, il ruolo di Christo
Kabakchiev (Kabak) – l’emissario bulgaro della Comintern che, in tale veste,
partecipò al congresso di fondazione del PCd’I – fu recitato da Patrick Stewart
(famoso molto più tardi nel ruolo del capitano Jean-Luc Picard in Star Trek –
The Next Generation ma da sempre attore shakespeariano di primo livello), e quello
dell’Ingegnere Valletta, capo della FIAT, da un grande Sebastian Shaw.
[50]
La Goodbody era una delle prime donne ad affermarsi come regista nel mondo del
teatro “ortodosso”, ambiente sempre rifiutato dalla grandissima regista Joan
Littlewood. Tra i più bravi registi della sua generazione, donna impegnata
nell’avanguardia del primo movimento femminista, la Goodbody si è tragicamente
tolta la vita all’età di 28 anni nell’aprile del 1975, dopo la prova generale
della sua produzione a Stratford upon Avon di Amleto; protagonista, come in
Occupations, fu di nuovo Ben Kingsley: v. Colin Chambers Other Spaces: New
Theatre and the RSC, Methuen : London 1980, in particolare pp. 10-14, 26-32, 42
e 61-67.
[51]
Chi scrive si affida in parte al copione della regista in suo possesso, in parte
alla memoria e in parte al libro di Chambers, cit. Le parole di Gramsci, qui
citate testualmente, risalgono in verità ad un periodo successivo a quello
delle occupazioni delle fabbriche e sono contenute in una lettera alla moglie
del 6 marzo 1924 (ora in A. Gramsci, Lettere 1908-1926, a cura di Antonio A.
Santucci, Einaudi : Torino 1992, p. 271), scritta quando egli si trovava ancora
a Vienna prima del rientro in Italia come deputato per un collegio del Veneto.
[52]
Henderson conferma sul primo dei due numeri della NER dedicati alle Lettere che
aveva iniziato la sua traduzione nel 1948 e l’aveva finita due anni dopo; fu
finalmente pubblicata sotto forma di volume, col testo revisionato e ampliato,
dalla Zwan Press (Londra) nel 1988.
[53] Gwyn A. Williams, “Concept of ‘egemonia’ in the Thought of Antonio
Gramsci: Some Notes on Interpretation”, Journal of the History of Ideas,
ottobre 1960, 586-599.
[54] La Showstack Sassoon si è distinta in seguito per la sua grande
originalità nell’applicare i concetti gramsciani alle realtà sociali attuali.
[55] Edward Said, Culture and Imperialism, Vintage : London 1993,
specialmente pp. 71 e 76 ma anche altrove.
[56]
Purtroppo senza essersi ricordato dello scritto di Kiernan, e perciò senza
averlo consultato né aver citato la sua pubblicazione, nell’ambito di due
convegni nel 2001 chi scrive fece interventi su tematiche molto simili a quelle
trattate da lui e qui si scusa per questa svista piuttosto grave. Si vedano Victor G. Kiernan,
“Gramsci and the Other Continents” in Antonio Gramsci: Letters from Prison:
Political History and Conference Papers (The Collected Edition of the three
special issue of the New Edinburgh Review), n. 27: Gramsci III: The struggle for
hegemony, [Edinburgh: s.d., ma 1974], pp. 19-24, e D. Boothman, “Las notas de
Gramsci sobre el Islam”, in Gramsci En Río De Janeiro (Atti del Convegno
dell’IGS Ler Gramsci, entender a realidade), a cura di Dora Kanoussi, (trad.
dall’inglese di Cristina Ortega Kanoussi), Plaza y Valdes Editores, México
d.f., 2005. È in corso di stampa l’articolo di chi scrive “Gli appunti
del 1930 sulla geopolitica” in Gramsci e il suo tempo (Atti del Convegno
dell’Istituto Gramsci Emilia Romagna “Gramsci e il suo tempo: Tra crisi
dell’Occidente e sfide della modernizzazione”, 7 marzo 2001, Bologna).
[57] Hugh MacDiarmid (Christopher Murray Grieve), versi citati da “In
Memoriam James Joyce”, poesia ora raccolta nella sua antologia A Lap of Honour,
Macgibbon and Kee : London, 1967; “The seamless garment”, del First Hymn to
Lenin (1931), d’altra parte, è ora in Collected Poems, Macmillan : London,
1967, pp. 290-2. I versi riportati nel testo contengono una parafrasi di
uno dei commenti più celebri delle lettere carcerarie (dalla lettera a Tania
del 19 marzo 1927); la presenza di citazioni come parte integrante della poesia
è aspetto caratteristico di MacDiarmid.
[58] Antonio Gramsci, Letters from Prison by Antonio Gramsci, trad. ingl. di
Lynne Lawner, Harper and Row : New York 1973.
[59]
v. la lettera a Delio del 22 febbraio 1932, Lawner, op.cit., pp. 224-5; la
storia narrata sempre per i figli nella lettera del 1 giugno 1931, è invece
molto ben tradotta.
[60]
È ben noto che alcune opere classiche di Marx e di Lenin hanno circolato, e che
alcune continuano ad essere chiamate, con titoli diversi; nel caso qui il
pamphlet citato dalla Lawner (Letters from Prison, op. cit., nota 2, p. 65) e
anche da Henderson, Extremism, Infantile Disease of Communism, è più
riconoscibile al moderno lettore anglofono sotto il nome Left-Wing Communism,
an Infantile Disorder; presumibilmente Henderson si è affidato ad una vecchia
edizione nel suo possesso.
[61]
Per citare alcuni esempi, solitamente almeno dagli anni Quaranta del Novecento
“ethico-political” è usata per tradurre il termine crociano di “etico-politico”
e non “ethical-political”: v. ad esempio B. Croce, Politics and Morals, op.
cit. Nelle lettere su Croce,
“paradigma” è reso con il termine impreciso “supreme example”, mentre
“criticism” è usata dalla traduttrice al posto di “critique” per il noto
scritto giovanile di Marx ed Engels contro i Bauer “The Holy Family, or
Critique of Critical Criticisms” (Marx-Engels Collected Works, Vol. 4, Lawrence
and Wishart : London, 1975, pp. 5-211). La banda di antisemitici del
periodo zarista è conosciuta in inglese sotto il nome di “Black Hundreds” e non
di “Black Centurions”, nome che sembra più tipico di J.R.R. Tolkien. Forse a
causa di una svista è rimasta la parola “dialectical” (lettera del 7 settembre
1931, p.184), che esiste, ma è rara nel contesto dei dialetti (“two languages
persisted, one of them popular and dialectical (sic) and the other the learned
language of the intellectuals”); visto però il contesto generale del libro,
tale scelta è in grado si sviare il lettore meno attento. È palesemente erronea
l’attribuzione nella nota 6, p.206, a David Ricardo dello scritto “The Laws of
Returns under Competitive Conditions” (Economic Journal, December 1926), che è
invece uno dei lavori più importanti e famosi di Piero Sraffa, l’“erede
marxista” dell’economista ottocentesco; la versione italiana (“Le leggi della
produttività in regime di concorrenza”, trad. di P. Baffi) è ora in Piero
Sraffa, Saggi, a cura di P. Garegnani, Il Mulino : Bologna, 1986, pp. 67-84.
Diverse sono le altre sviste, imprecisioni e scelte almeno discutibili della
traduzione.
[62] Selections from Political Writings 1910-1920 e Selections from
Political Writings 1921-1926, Lawrence and Wishart : London, 1977 e 1978
rispettivamente. Il primo volume fu tradotto da John Mathews e il
secondo da Quintin Hoare, che era curatore di entrambi i libri.
[63] A. Gramsci, Selections from Cultural Writings, a cura di David Forgacs
e Geoffrey Nowell Smith, traduzione di W. Q. Boelhower, Lawrence and Wishsart :
London 1985.
[64]
Gli appunti del suo intervento, con integrazioni dei traduttori (chi scrive ed
Alessandra Giovagnoli), sono stati pubblicati sulla rivista Comment, organo
quindicinale del Partito Comunista britannico nell’estate del 1977.
[65]
Perry Anderson, “The Antinomies of Antonio Gramsci” in New Left Review, I/100,
1976; la traduzione italiana rende “antinomies”, che per definizione non
possono essere risolte, con il termine “ambiguità”, il quale cambia
radicalmente il significato dell’originale.
[68]
Ricostruito dal taccuino di appunti su tali discussioni in possesso di chi
scrive.
[69]
Non è il caso di entrare qui in dettaglio su questo gruppo prevalentemente
londinese; vale solo la pena di notare che alcuni dei suoi membri si
consideravano vicini a Il Manifesto in Italia ed operarono sotto il nome più
anonimo possibile (lo “Smith Group”). Esso rifletteva in gran parte la base
sociale del partito nelle zone centrali di Londra. Rigorosamente esclusi dal
gruppo, eccetto come relatori occasionali, erano critici del partito dai punti
di vista pro-sovietico o liberale; il gruppo pubblicò alcuni numeri di un
bollettino (naturalmente semi-clandestino) ed organizzò alcuni incontri
nazionali.
[70] Gwyn A. Williams, op. cit.; questo commento di [Gwyn] Williams è ripreso
nell’articolo di Forgacs pubblicato sulla New Left Review, cit., pp. 73-4.
[71] Raymond Williams, The Country and the City, Chatto and Windus : London
1973; per il commento di Said, v. il suo Culture and Imperialism, op. cit.,
p.98.
[72] Il centro fu fondato da Stuart Hall, primo direttore, nel 1960, della
New Left Review, ed è ubicato prima presso l’Università di Birmingham e poi
presso la Open University.
[74] v. il volume recente di Kate Crehan, Gramsci, Culture and Anthropology,
Pluto Press : London 2003.
[75]
Tale critica non è di stampo tardo-staliniano, ma semplicemente la
constatazione che in una gerarchia delle componenti del concetto gramsciano di
egemonia, il fattore “classe” occupa un ruolo fondamentale e, se viene tolto,
non c’è più compatibilità e perciò nemmeno traducibilità (almeno piena
traducibilità) tra lo schema di Gramsci e quelli dei fautori del post-moderno.
In particolare lo stesso nome usato nei due paradigmi non necessariamente
denota gli stessi concetti; cfr. Thomas Kuhn sull’incommensurabilità dei
paradigmi scientifici e sul diverso significato di termini come “atomo” pre- e
post-Dalton o “massa” pre- e post-Einstein.
[76] v. ad esempio R.L. Trask A Student’s Dictionary of Language and
Linguistics, Arnold : London 1997.
[77] Steven R. Mansfield, “Introduction to Gramsci’s ‘Notes on Language’”,
Telos, 59 (1984), 119-26.
[78] Niels Helsloot, “Linguists of all countries …! On Gramsci’s Premise of
Coherence”, Journal of Pragmatics, 13 (1989), pp.547-66. L’articolo di Helsloot
elenca diversi altri articoli in inglese che riguardano Gramsci e la
linguistica.
[79]
Con argomentazioni parzialmente diverse, chi scrive rivendicò indipendentemente
un tale parallelismo tra i due pensatori; v. l’introduzione generale a FSPN,
pp. pp.lxiii-lxiv; v. anche Critica Marxista, 1996, pp. 47-55, La città futura,
N. 21, pp. 7-9, 2002 (in giapponese) e ultimamente Traducibilità e processi
traduttivi. Un caso: A.
Gramsci linguista, Guerra Edizioni : Perugia 2004.
[80] Peter Ives, Gramsci’s Political Language: Engaging the Bakhtin Circle
& the Frankfurt School, University of Toronto Press, 2004.
[81] Amartya Sen, “Sraffa, Wittgenstein, and Gramsci”, Journal of Economic
Literature, XLI, dicembre 2003, pp. 1240-55.
[82] Peter Gran, Beyond Eurocentrism. A New View of Modern World History,
Syracuse University Press, 1996.
[83] Inizialmente era stata interessata a pubblicare il volume un’altra casa
editrice che, però, non aveva i diritti di traduzione della parte che riguarda
i Quaderni (informazione fornita a chi scrive dall’editore di SCW).
[84]
Per un’analisi dettagliata di questi temi v. il volume di chi scrive
Traducibilità e processi traduttivi, op. cit.
[86]
Per tale motivo i traduttori tedeschi (capeggiati da Wolfgang Fritz Haug) e
portoghesi (gruppo comprendente Marco Aurélio Nogueira, Luiz Sergio Henriques e
Carlos Nelson Coutinho e coordinato da quest’ultimo) sono riusciti a pubblicare
in tempi relativamente brevi rispettivamente la versione integrale e una
versione tematica dei Quaderni, in quest’ultimo caso iniziando – diversamente
dalla scelta britannica – con i discorsi filosofici dei Quaderni 10 e 11.
[87]
È ben noto che tale sistemazione non rispecchia fedelmente l’ordine cronologico
di scrittura delle note contenute nei quaderni, che è impossibile fissare con
esattezza: v. in particolare Gianni Francioni, L’officina gramsciana, Bibliopolis
: Napoli 1984 per la più completa datazione, con integrazioni in seguito ad
opera anche da altri studiosi.
[88]
Antonio Gramsci, Pre-Prison Writings, curato da Richard Bellamy e tradotto da
Virginia Cox, Cambridge Univesity Press : Cambridge e New York, 1994.
[89] Antonio Gramsci, Letters from Prison, Columbia University Press : New
York 1994, in due volumi curati da Frank Rosengarten e tradotti da Raymond
Rosenthal.
[90] V. Letters from Prison, cit., Vol II, p.172 (lettera di Gramsci del 9
maggio 1932 alla cognata Tania). L’osservazione sui tempi verbali è
stata fatta a chi scrive dal curatore dell’edizione.
[91]
Antonio Gramsci Lettere 1908-1926 a cura di Antonio A. Santucci, Einaudi :
Torino, 1992.
[92]
Antonio Gramsci, Briefe 1908-1926: Eine Auswahl, tradotto da Klaus Bochmann,
Europaverlag : Wien und Zürich, 1992.