Di questi
quattro estratti dei "Quaderni" di Gramsci che qui pubblichiamo, il primo e il
terzo possono sembrare non attuali e non conformi all'indole e agli scopi della
nostra "Guida" in quanto prospettano una impostazione dello studio teorico del
marxismo che potrebbe interessare soltanto pochissimi specialisti e che,
d'altra parte, non troverebbe in Italia la necessaria base organizzativa e i
materiali indispensabili (libri, documenti, ecc.). L'obiezione non è infondata,
senonché molti dei criteri di ricerca indicati da Gramsci sono validi anche per
uno studio contenuto in limiti più modesti e molte delle sue osservazioni
possono servire di orientamento per ogni studioso. L'interesse degli spunti
offerti dagli altri due estratti non ha bisogno di essere sottolineato.
Quistioni di metodo
Se si vuole studiare la nascita di una concezione del mondo
che dal suo fondatore non è stata mai esposta sistematicamente (e la cui
coerenza essenziale è da ricercare non in ogni singolo scritto o serie di
scritti ma nell'intero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli
elementi della concezione sono impliciti) occorre fare preliminarmente un
lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di
onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed
apriorismo o partito preso. Occorre prima di tutto ricostruire il processo di
sviluppo intellettuale del pensatore dato per identificare gli elementi
divenuti stabili e «permanenti», cioè che sono stati assunti come pensiero
proprio, diverso e superiore al «materiale» precedentemente studiato e che ha
servito di stimolo; solo questi elementi sono momenti essenziali del processo
di sviluppo. Questa selezione può essere fatta per periodi più o meno lunghi,
come risulta dall'intrinseco e non da notizie esterne (che pure possono essere
utilizzate) e dà luogo a una serie di «scarti», cioè di dottrine e teorie
parziali per le quali quel pensatore può aver avuto, in certi momenti, una
simpatia, fino ad averle accettate provvisoriamente ed essersene servito per il
suo lavoro critico o di creazione storica e scientifica.
E' osservazione comune di ogni studioso, come esperienza
personale, che ogni nuova teoria studiata con «eroico furore» (cioè quando non
si studia per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per un
certo tempo, specialmente se si è giovani, attira di per se stessa, si
impadronisce di tutta la personalità e viene limitata dalla teoria
successivamente studiata finché non si stabilisce un equilibrio critico e si
studia con profondità senza però arrendersi subito al fascino del sistema e
dell'autore studiato. Questa serie di osservazioni valgono tanto più quanto più
il pensatore dato è piuttosto irruento, di carattere polemico e manca dello
spirito di sistema, quando si tratta di una personalità nella quale l'attività
teorica e quella pratica sono indissolubilmente intrecciate, di un intelletto
in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente
l'autocritica nel modo più spietato e conseguente.
Date queste premesse, il lavoro deve seguire queste linee:
1° la ricostruzione della biografia non solo per ciò che riguarda l'attività
pratica ma specialmente per l'attività intellettuale; 2° il registro di tutte
le opere, anche le più trascurabili, in ordine cronologico, divise secondo
motivi intrinseci, di formazione intellettuale, di maturità, di possesso e
applicazione del nuovo modo di pensare e di concepire la vita e il mondo. La
ricerca del leit-motiv, del ritorno del pensiero in isviluppo, deve
essere più importante delle singole affermazioni e degli aforismi staccati.
Questo lavoro preliminare rende possibile ogni ulteriore ricerca. Tra leopere
del pensatore dato, inoltre, occorre distinguere tra quelle che egli ha
condotto a termine e pubblicate e quelle rimaste inedite, perché non compiute,
e pubblicate da qualche amico o discepolo, non senza revisione, rifacimenti,
tagli, ecc., ossia non senza un intervento attivo dell'editore. E' evidente che
il contenuto di queste opere postume deve essere assunto con molta discrezione
e cautela, perché non può essere definitivo, ma solo materiale ancora in
elaborazione, ancora provvisorio; non può escludersi che queste opere,
specialmente se da lungo tempo in elaborazione e che l'autore non si decideva
mai a compiere, in tutto o in parte fossero ripudiate dall'autore e non
ritenute soddisfacenti.
Nel caso specifico di Marx l'opera letteraria può essere
distinta in queste sezioni: 1° lavori pubblicati sotto la responsabilità
diretta dell'autore: tra questi devono essere considerati, in linea generale,
non solo quelli materialmente dati alle stampe, ma quelli «pubblicati» o messi
in circolazione in qualsiasi modo dall'autore, come le lettere, le circolari,
ecc. (un esempio tipico sono le Glosse al programma di Gotha e
l'epistolario); 2° le opere non stampate sotto la responsabilità diretta
dell'autore, ma da altri, postume; intanto di queste sarebbe bene avere il
testo diplomatico, ciò che è già in via di essere fatto, o per lo meno una
minuziosa descrizione del testo originale fatta con criteri scientifici.
L'una e l'altra sezione dovrebbero essere ricostruite per
periodi cronologico-critici, in modo da poter stabilire confronti validi e non
puramente meccanici ed arbitrari.
Dovrebbe essere minutamente studiato e analizzato il lavoro
di elaborazione compiuto dall'autore sul materiale delle opere poi da lui
stesso stampate: questo studio darebbe per lo meno degli indizi e dei criteri
per valutare criticamente l'attendibilità delle redazioni compilate da altri
delle opere postume. Quanto più il materiale preparatorio delle opere edite
dall'autore si allontana dal testo definitivo redatto dallo stesso autore, e
tanto meno è attendibile la redazione di altro scrittore di un materiale dello
stesso tipo. Un'opera non può mai essere identificata col materiale bruto
raccolto per la sua compilazione: la scelta definitiva, la disposizione degli
elementi componenti, il peso maggiore e minore dato a questo o a quello degli
elementi raccolti nel periodo preparatorio, sono appunto ciò che costituisce
l'opera effettiva.
Anche lo studio dell'epistolario deve essere fatto con certe
cautele: un'affermazione recisa fatta in una lettera non sarebbe forse ripetuta
in un libro. La vivacità stilistica delle lettere, se spesso è artisticamente
più efficace dello stile più misurato e ponderato di unlibro, talvolta porta a
deficienza di argomentazione: nelle lettere, come nei discorsi, come nelle
conversazioni, si verificano più spesso errori logici; la rapidità
maggiore del pensiero è spesso a scapito della sua solidità.
Solo in seconda linea, nello studio di unpensiero originale
e innovatore, viene il contributo di altre persone alla sua documentazione.
Così, almeno in linea di principio, come metodo, deve essere impostata la quistione
dei rapporti di omogeneità tra i due fondatori della filosofia della praxis.
L'affermazione dell'uno e dell'altro sull'accordo reciproco vale solo per
l'argomento dato. Anche il fatto che uno ha scritto qualche capitolo per un
libro scritto dall'altro, non è una ragione perentoria perché tutto il libro
sia considerato come risultato di un perfetto accordo. Non bisogna
sottovalutare il contributo di Engels, ma non bisogna neanche identificare
Engels eMarx, né bisogna pensare che tutto ciò che il primo ha attribuito al
secondo sia assolutamente autentico e senza infiltrazioni. E' certo che Engels
ha dato la prova di un disinteresse e di una assenza di vanità personale unici
nella storia della letteratura, ma non di ciò si tratta, né di porre in dubbio
l'assoluta onestà scientifica di Engels. Si tratta che Engels non è Marx e che
se si vuole conoscere Marx occorre cercarlo specialmente nelle sue opere
autentiche, pubblicate sotto la sua diretta responsabilità. Da queste
osservazioni conseguono parecchie avvertenze di metodo e alcune indicazioni per
ricerche collaterali. Per esempio che valore ha il libro di Rodolfo Mondolfo
sul «Materialismo storico di Federico Engels» edito dal Formiggini nel 1912? Il
Sorel (in una lettera al Croce) pone in dubbio che si possa studiare un
argomento di tal fatta, data la scarsa capacita di pensiero originale
dell'Engels, e spesso ripete che bisogna non confondere tra i due fondatori
della filosofia della praxis. A parte la quistione posta dal Sorel, pare che
per il fatto stesso che si suppone una scarsa capacita teoretica in Engels (per
lo meno una sua posizione subalterna rispetto a Marx) sia indispensabile
ricercare a chi spetti il pensiero originale, ecc. In realtà una ricerca
sistematica di questo genere (eccetto il libro del Mondolfo) nel mondo della
cultura non è mai stata fatta, anzi le esposizioni di Engels, alcune
relativamente sistematiche, sono ormai assunte in primo piano, come fonte
autentica e anzi sola fonte autentica.
Le parti costitutive
della filosofia della praxis
Una concezione molto diffusa è che la filosofia della praxis
è una pura filosofia, la scienza della dialettica, e che le altre parti sono
l'economia e la politica, per cui si dice che la dottrina è formata di tre
parti costitutive, che sono nello stesso tempo il coronamento e il superamento
del grado più alto che verso il ‘48 aveva raggiunto la scienza delle nazioni
più progredite d'Europa: la filosofia classica tedesca, l'economia classica
inglese e fattività e scienza politica francese. Questa concezione che è più
una generica ricerca delle fonti storiche che non una classificazione che nasca
dall'intimo della dottrina, non può contrapporsi come schema definitivo, a ogni
altra organizzazione della dottrina che sia più aderente alla realtà. Si
domanderà se la filosofia della praxis non sia appunto specificatamente una
teoria della storia e si risponde che ciò è vero, ma perciò dalla storia non
possono staccarsi la politica e l'economia, anche nelle fasi specializzate, di
scienza e arte della politica e di scienza e politica economica. Cioè: dopo
avere nella parte filosofica generale, - che è la filosofia della praxis vera e
propria, la scienza della dialettica o gnoseologia, in cui i concetti generali
di storia, di politica, di economia si annodano in unità organica - svolto il
compito principale, è utile, in un saggio popolare, dare le nozioni generali di
ogni momento o parte costitutiva, anche in quanto scienza indipendente e
distinta.
Un repertorio della
filosofia della praxis
Sarebbe utilissimo un inventario critico di tutte le
quistioni che sono state sollevate e discusse intorno alla filosofia della
praxis, con ampie bibliografie critiche. Il materiale per una simile opera
enciclopedica specializzata è talmente esteso, disparato, di diversissimo
valore, in tante lingue, che solo un comitato di redazione potrebbe elaborarlo
in un tempo non breve. Ma l'utilità che una compilazione di tal genere avrebbe,
sarebbe di una imponenza immensa sia nel campo scientifico sia nel campo
scolastico e tra i liberi studiosi. Diverrebbe uno strumento di primo ordine
per la diffusione degli studi sulla filosofia della praxis, e per il loro
consolidamento in disciplina scientifica staccando nettamente due epoche:
quella moderna da quella precedente di imparaticci, di pappagallismi e di
dilettantismi giornalistici.
Per costruire il progetto sarebbe da studiare tutto il
materiale dello stesso tipo pubblicato dai cattolici dei vari paesi a proposito
della Bibbia, degli Evangeli, della patrologia, della liturgia,
dell'apologetica, grosse enciclopedie specializzate di vario valore ma che si
pubblicano continuamente e mantengono l'unita ideologica delle centinaia di
migliaia di preti e altri dirigenti che formano la impalcatura e la forza della
Chiesa Cattolica. (Per la bibliografia della filosofia della praxis in Germania
sono de vedere le compilazioni di Ernest Drahn, citate dallo stesso Drahn
nell'introduzione ai numeri 6068-6069 della Reklams Universal Bibliotek).
2° Occorrerebbe fare per la filosofia della praxis un lavoro
come quello che il Bernheim ha fatto per il metodo storico (1 a7).
Il libro del Bernheim non è un trattato della filosofia
dello storicismo, tuttavia implicitamente le è legato. La cosidetta «sociologia
della filosofia della praxis» dovrebbe stare a quella filosofia come il libro
del Bernheim sta allo storicismo in generale cioè una esposizione sistematica
di canoni pratici di ricerca e di interpretazione per la storia e la politica;
una raccolta di criteri immediati, di cautele critiche, ecc., una filologia
della storia e della politica, come sono concepite dalla filosofia della
praxis. Per alcuni rispetti occorrerebbe fare di alcune tendenze della
filosofia della praxis (e, per avventura, le più diffuse per la loro
grossolanità) la stessa critica o tipo di critica, che lo storicismo moderno ha
fatto del vecchio metodo storico e della vecchia filologia, che avevano portato
a forme ingenue di dogmatismo e sostituivano l'interpretazione e la costruzione
storica con la descrizione esteriore e l'elencazione delle fonti grezze spesso
accumulate disordinatamente ed incoerentemente. La forza maggiore di queste
pubblicazioni consisteva in quella specie di misticismo dogmatico che si era
venuto creando e popolarizzando e che si esprimeva nell'affermazione non
giustificata di essere seguaci del metodo storico e della scienza.
I fondatori della
filosofia della prassi e l'Italia
Una raccolta sistematica di tutti gli scritti (anche
dell'epistolario) che riguardano l'Italia o considerano problemi italiani. Ma
una raccolta che si limitasse a questa scelta non sarebbe organica e compiuta.
Esistono scritti dei due autori che pure non riguardando specificatamente
l'Italia, hanno un significato per l'Italia e un significato non generico,
s'intende, perché altrimenti tutte le opere dei due scrittori si può dire che
riguardino l'Italia. Il piano della raccolta potrebbe essere costruito secondo
questi criteri: scritti che specificatamente si riferiscono all'Italia; scritti
che riguardano argomenti «specifici» di critica storica e politica, che pur non
riferendosi all'Italia hanno attinenza con problemi italiani. Esempi:
l'articolo sulla costituzione spagnola del 1812 ha attinenza con l'Italia, per
la funzione politica che tale costituzione ha avuto nei movimenti italiani fino
al ‘48. Così ha attinenza con l'Italia la critica della Miseria della
filosofia contro la falsificazione della dialettica hegeliana fatta dal
Proudhon, che ha riflessi in corrispondenti moti intellettuali italiani
(Gioberti - lo hegelismo dei moderati - concetto di rivoluzione passiva -
dialettica di rivoluzione-restaurazione). Lo stesso si dica dello scritto di
Engels sui moti libertari spagnoli del 1873 (dopo l'abdicazione di Amedeo di
Savoia), che ha attinenza con l'Italia, ecc.
Di questa seconda serie di scritti non bisogna forse fare la
raccolta, ma è sufficiente un'esposizione critico-analitica. Forse il piano più
organico potrebbe essere quello in tre parti: 1) introduzione storico-critica; 2)
scritti sull'Italia; 3) analisi degli scritti attinenti indirettamente
all'Italia, cioè che si propongono di risolvere quistioni che sono essenziali
anche per l'Italia.
Brano tratto da "Guida
allo studio del marxismo", Supplemento al N° 3 di "Rinascita",
Marzo 1947.